Un tema che ritorna frequentemente nelle campagne elettorali senesi è quello relativo alla situazione di Monte dei Paschi di Siena, la storica banca che ha segnato l’economia della città, da quando è stata fondata nel 1472 fino agli scandali e alla crisi, iniziata intorno al 2009 e ancora oggi non completamente risolta. La banca è stata storicamente molto legata alla politica locale e al territorio, ma dal 2017 è di proprietà del ministero dell’Economia: per questo molti sostengono che il legame si sia spezzato e che da allora l’economia di Siena stia vivendo un periodo di declino. La fine di questo legame potrebbe essere una delle ragioni per cui, a differenza delle ultime elezioni amministrative che si sono tenute nel 2018, quando la crisi era tutto sommato fresca, il tema di MPS non è stato molto presente nella campagna elettorale.
A prescindere da chi vincerà, il nuovo sindaco e la nuova amministrazione comunale si ritroveranno a gestire una città la cui economia è molto cambiata nell’ultimo decennio, soprattutto dopo la crisi di MPS. L’economia locale si basa soprattutto sui servizi, ossia sul commercio, la ristorazione e tutto l’indotto collegato all’accoglienza dei tanti turisti che ogni anno visitano la città: il 72 per cento del PIL senese deriva proprio da queste attività. C’è anche un comparto industriale con molte potenzialità nel territorio, con aziende di notevole importanza nel settore delle biotecnologie e della farmaceutica.
Per anni la presenza di MPS ha garantito alla città un benessere che ora non può più garantire: c’erano migliaia di dipendenti con stipendi alti e ottimi bonus, che poi spendevano sul territorio; c’erano tantissimi liberi professionisti – dai consulenti finanziari agli avvocati e anche agli artigiani – che lavoravano molto per la banca e a volte anche in via quasi esclusiva. Era un catalizzatore di lavoro e di reddito, ma non solo: la Fondazione Monte dei Paschi, che era l’azionista di maggioranza della banca, garantiva al territorio i circa 300 milioni di utili che ogni anno percepiva da MPS, tutti soldi che ora non ci sono più per le attività locali.
Secondo un’analisi del sito lavoce.info la crisi della banca ha causato un declino dell’economia della città: nell’ultimo decennio la disoccupazione e il calo dei redditi sono stati più forti rispetto alle altre città toscane. Sono però diminuite le disuguaglianze, anche se in questo caso per un effetto non virtuoso: i redditi bassi sono rimasti bassi, ma quelli più alti si sono ridotti, proprio perché hanno perso il lavoro moltissimi dipendenti della banca.
La città si è quindi impoverita e, anche se non si può dire con certezza scientifica, è plausibile supporre che la crisi di MPS abbia avuto un ruolo importante nel declino dei redditi: la banca rivestiva un ruolo strategico nell’economia di Siena, in particolare in un contesto industriale come quello italiano, dove le banche costituiscono il più importante canale di finanziamento per le imprese. Essendo una banca con risorse molto più limitate rispetto al passato, MPS non è più competitiva come un tempo nel mercato dei prestiti alle imprese, un mercato che ha perso una banca che per anni ha sorretto l’economia senese.
Le ragioni per cui MPS si è trovata in questa situazione cominciano quasi trent’anni fa e hanno a che fare con il rapporto spesso malsano che la banca ha avuto con la politica locale a Siena.
MPS è stata per decenni controllata dalla politica, e lo è rimasta anche dagli anni Novanta in poi. Fino a pochi anni fa, infatti, la maggioranza assoluta delle azioni della banca era posseduta dalla Fondazione Monte dei Paschi, un’istituzione semi-privata i cui vertici vengono nominati in gran parte dai rappresentanti della politica locale, come il sindaco di Siena, il presidente della provincia e quello della Toscana (oggi la fondazione ha una percentuale trascurabile di azioni della banca). Visto che il centrosinistra è sempre stato molto forte in quelle aree, MPS veniva spesso indicata come una banca vicina al PCI, ai DS e poi al PD. Nel tempo si è poi scoperto che in realtà era una banca vicina alla politica in generale, a prescindere dall’orientamento.
Molte altre banche italiane avevano quote possedute da fondazioni bancarie, ma MPS era l’unica in cui il controllo completo era in mano a una Fondazione. Il risultato di questo controllo politico della banca fu che MPS e la Fondazione investivano in maniera massiccia a Siena e più in generale in Toscana in base a logiche politiche e spesso senza tenere conto della sostenibilità e della vera profittabilità degli investimenti. Ogni sorta di attività in provincia era finanziata con il denaro della banca o della Fondazione: dall’università agli ospedali, dalle squadre sportive agli eventi culturali. Si è poi scoperto che a volte i manager concedevano prestiti ad amici e alleati che non avevano speranze di restituirli. La logica clientelare dei finanziamenti ha di fatto azzoppato buona parte delle possibilità di sviluppo del territorio, con conseguenze che ancora oggi l’economia senese sta pagando.
La necessità di distribuire denaro sul territorio ha spinto i manager della banca a compiere diverse operazioni rischiose e ai limiti della legalità. Un’inchiesta della magistratura iniziata nel 2013 dimostrò che per quattro anni alcuni manager avevano sottoscritto dei complicati contratti derivati con alcune banche. Grazie a questi titoli, tenuti nascosti ai controllori interni e agli istituti di vigilanza, gli amministratori riuscirono a mascherare le perdite del 2009 e a spalmarle sugli anni successivi. Grazie all’operazione i vertici della banca riuscirono a distribuire utili anche quell’anno, così da permettere alla Fondazione di continuare a finanziare le sue attività.
L’operazione più azzardata fu probabilmente l’acquisto per 9 miliardi di euro di Banca Antonveneta (BAV), uno storico istituto bancario italiano finito in crisi e acquistato prima da un gruppo olandese e poi da uno spagnolo. In quei mesi il settore bancario era in crescita e MPS era una delle poche banche che non avevano compiuto grosse acquisizioni negli anni precedenti: alla fine del 2007 MPS ultimò l’acquisizione, ma molti fecero notare che appena pochi mesi prima BAV era stata ceduta al gruppo Santander per appena 6,6 miliardi di euro. In pochi mesi MPS aveva pagato per la stessa banca quasi il 50 per cento in più.
Dopo la crisi finanziaria del 2008 i problemi iniziarono a emergere e da allora la banca è stata salvata dallo stato con soldi pubblici per tre volte. Con l’ultimo salvataggio nel 2017 il ministero dell’Economia è diventato il principale azionista, in deroga alle regole europee sulla concorrenza: l’operazione è stata approvata dalla Commissione europea per scongiurare il fallimento di una banca così grossa e con l’impegno del governo di venderla a privati entro il 2021. Da allora la Fondazione Monte dei Paschi di Siena non ha più il controllo della banca, ha perso circa due miliardi e mezzo di patrimonio e tutti gli utili che la banca le garantiva e che poi riversava sul territorio.
Nel tempo MPS è stata sottoposta a una lunga e difficile opera di risanamento dei suoi conti, che ha notevolmente migliorato la sua situazione e che ha anche ripulito il bilancio da circa 27 miliardi di euro di crediti deteriorati, ossia prestiti che non riusciva a farsi restituire: erano in parte una conseguenza delle crisi economiche del 2008 e del 2011, che avevano reso insolventi centinaia di imprenditori e risparmiatori, ma anche delle politiche di credito azzardate che la banca aveva attuato.
Negli ultimi anni MPS è comunque rimasta sempre operativa, anche se in una situazione difficile, una sorta di “sorvegliato speciale” del sistema bancario europeo. Nonostante l’impegno del governo di vendere la partecipazione pubblica in MPS entro il 2021, ancora oggi la banca è di proprietà del ministero dell’Economia.
Varie volte si sono iniziate delle trattative con banche private per la vendita, l’ultima proprio nel 2021 con Unicredit: finì con un nulla di fatto, perché Unicredit chiedeva che lo stato mettesse ancora soldi nella banca per risanarla e soprattutto perché non fu trovato un accordo sul prezzo. Ciclicamente la Commissione europea chiede al governo di sbrigarsi con la vendita: ha dovuto concedere una proroga dopo che è fallita la trattativa con Unicredit (che avrebbe consentito di rispettare la scadenza originaria), ma nel frattempo ha proibito alla banca di fare alcune operazioni, come la distribuzione degli utili o nuove acquisizioni.
Anche per questo MPS è stata relativamente assente dalla campagna elettorale per le amministrative a Siena, nonostante l’enorme ruolo che aveva soltanto pochi anni fa. Giovedì si è tenuto l’ultimo dibattito elettorale tra tutti i candidati, e di MPS e della Fondazione si è parlato soprattutto come di una realtà da risanare, e i cui legami con il territorio devono essere ristabiliti. Uno dei candidati civici, Alessandro Bisogni, ha detto: «MPS non ha più il potere che aveva un tempo, la sua incidenza sul territorio è limitata».
N.B.: Ci sono comunque due inesattezze nell’articolo: la perdita di patrimonio della Fondazione (non 2,5 miliardi ma 12 miliardi a valore di mercato o 6 miliardi a valore contabile) e l’altro è relativo ai crediti deteriorati della Banca. (ndr)