stefano lepri
Nel resto d’Europa, Fabio Panetta lo hanno conosciuto soprattutto perché ha detto pane al pane sulle criptovalute. Sono un gioco d’azzardo, è pressoché inevitabile che chi ci gioca perda i suoi denari. Forse ci si sentiva un po’ stretto, in questo incarico che gli era stato affidato come membro del direttorio Bce, ma si è impegnato nello svolgerlo.
E ancora, per spiegarsi bene con gli americani: le criptovalute sono uno «schema Ponzi», ovvero il tipo di imbroglio finanziario più famoso oltre Atlantico, variamente traducibile come catena di Sant’Antonio, gioco dell’aeroplano, utilizzato dalle «piramidi» che mandarono in rovina parecchi albanesi negli anni ’90. O anche «una frenesia senza legge».
Dal 2020 che è a Francoforte non è stato però, perché non poteva esserlo, il portavoce dell’Italia, come ha mostrato di considerarlo Matteo Salvini. I membri dell’esecutivo a sei di Francoforte sono scelti concordemente da tutti i Paesi euro e tutti li devono rappresentare. Panetta è stato sempre ben attento a rispettare questo ruolo istituzionale.
Casomai la gaffe del leader della Lega rischia di danneggiare il governo nel suo desiderio di far nominare al posto di Panetta un altro italiano. Tradizionalmente l’Italia, terza economia per grandezza nell’area euro, ha un posto tra i 6. Ma ormai i Paesi membri sono 20 e altri chiedono una rotazione: insisteranno che nessun governo si deve illudere di avere lì un emissario.
Piuttosto, Panetta ha saputo dare coerenza a una sua posizione che certo tiene conto degli interessi italiani ma ha una logica sua propria: posizione in contrasto con quella della Bundesbank tedesca nel dibattito interno della Bce, che parte dalla critica degli errori compiuti durante la crisi debitoria dello scorso decennio per arrivare all’insistenza per un bilancio comune dell’area euro.
Nato a Roma nel 1959, Panetta è certo gradito all’attuale maggioranza di governo perché viene da una famiglia di cattolici conservatori: il padre Paolino fu sindaco democristiano di un paese del Lazio meridionale e capo di gabinetto di ministri dc; il fratello maggiore Giovanni, poi morto prematuramente, fu eletto deputato del Centro cristiano democratico nella coalizione berlusconiana.
Ma proprio la coerenza delle idee di Panetta, sorrette da una solida preparazione tecnica, potrebbe creare qualche punto di frizione. Alla lamentela sui tassi di interesse lui potrebbe rispondere che i governi darebbero una mano alla Bce, riducendo la necessità di altri rialzi, se adottassero una gestione più prudente della politica di bilancio, ossia aumentando tasse o riducendo spese.
La vicinanza di idee alla maggioranza di governo non cancella il fatto che Panetta è un sostenitore convinto dell’indipendenza della banca centrale dal potere politico. Due anni fa, in un intervento che pur segnava una netta divergenza con i tedeschi, Panetta insisté che occorre evitare in ogni modo una «fiscal dominance», ossia una subordinazione alle politiche di bilancio dei governi.
Proprio la competenza da tutti riconosciuta protesse la carriera di Panetta dopo la caduta del governatore Antonio Fazio che lo aveva preso a benvolere e promosso (erano anche conterranei: Pescosolido, il paese di origine dei Panetta, dista solo una quindicina di chilometri da Alvito dove è nato Fazio). Draghi, non tenero verso altri che erano stati vicini a Fazio, anzi lo promosse.