Alleati divisi: la manovra cambia. Verifiche sui conti, alt della premier
27 Ottobre 2023E sullo sfondo il nodo del Mes
27 Ottobre 2023di Marcello Sorgi
Si delinea un asse Lega-5 stelle, la vecchia alleanza gialloverde che inaugurò la scorsa legislatura, per opporsi al rigore della legge di stabilità, in particolare in materia di pensioni e contro l’inasprimento della norma che consentirebbe all’Agenzia delle Entrate di regolare i crediti direttamente dai conti correnti bancari. E costringere Meloni e Giorgetti ad addolcire alcune delle misure scritte per accontentare le richieste di Bruxelles. Quanto potrà reggere quest’intesa, è da vedere, dato che i testi forniti dal governo sono ancora destinati a modifiche, e Salvini intanto ha ottenuto i fondi per il Ponte sullo Stretto di Messina. Quel che conta per il governo resta arrivare al più presto a una condivisione nella maggioranza che consenta un iter il più possibile rapido della manovra di fine anno.
Intanto però c’è da registrare che l’idea di una legge di stabilità da far marciare senza emendamenti alle Camere – proposta dallo stesso Salvini – s’è infranta contro la realtà è contro l’eventualità che alla fine siano maggioranze spurie, formate da pezzi di maggioranza e pezzi di opposizione, a costringere la premier e il ministro dell’Economia a un aggiustamento che al momento dicono di non potersi permettere, a causa degli impegni presi con la Commissione europea.
È la Lega, con il suo vicesegretario Crippa, a guidare il dissenso, a partire dal rifiuto della norma sui conti correnti. E Conte si muove di complemento. Ma è chiaro che il Carroccio ha bisogno di fare un po’di confusione per poi negoziare e poter dire di esser riuscito ad ammorbidire le norme più rigorose, per questo dal ministero dell’Economia arrivano a ripetizione bozze che correggono cifre e percentuali.
Al momento il problema più grosso restano le pensioni. E non solo perché Salvini, che si era impegnato su quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi per uscire dal lavoro), con la quota 104 attualmente prevista si ritroverebbe con un aumento dell’età pensionabile che farebbe fatica a spiegare ai suoi elettori. Inoltre la prospettiva più dura riguarda i giovani, i cosiddetti Millennials, destinati per ora a lavorare fino a 71 anni e a poter lasciare il lavoro soltanto se i loro versamenti sono sufficienti ad assommare una pensione pari a tre volte la minima. Altrimenti, teoricamente, dovrebbero continuare a lavorare. Ma basta dare uno sguardo alla realtà del lavoro precario giovanile per accorgersi che questo traguardo sarà molto difficilmente raggiungibile per ragazzi che, cominciando a lavorare in questi anni, mettono insieme contribuzioni saltuarie, contratti a termine alternati a periodi di disoccupazione, lavoro nero nell’attesa di ottenerne uno vero, licenziamenti concordati o meno per meccanismi simili al “Decreto dignità”. Giovani che arrivano a trent’anni e anche più con questo genere di stop and go; e quando saranno arrivati ai settanta si accorgeranno che il loro monte contributi non è sufficiente a generare la pensione minima che gli è richiesta per legge.
Conclusione: era stata tanto criticata la legge Fornero, che almeno la sua autrice comunicò tra le lacrime sapendo di dover chiedere duri sacrifici per salvare il presente e il futuro delle pensioni in Italia. Stiamo ora andando verso un giro di vite che sarà necessario, forse addirittura indispensabile, non c’è niente da dire: ma le pensioni per chi si affaccia oggi alla terza età le ridurrà notevolmente. E quelle per i giovani precari di oggi finirà per cancellarle.