L’incontro è fissato per le 20,30. Ma alle 19,30 i primi vannacciani, ultima categoria antropologica del variegato panorama politico italiano, si stanno già scattando un selfie con il generale autore del pamphlet “Il Mondo al contrario”. Il fatto che la tappa numero 44 del tour sia stata spostata dall’hotel San Marco di Verona a uno spazio post industriale di Tregnago, fra le colline del Soave, causa marcia indietro degli albergatori preoccupati per le possibili proteste, ha galvanizzato i supporter di Roberto Vannacci. Cinque minuti prima dell’inizio la sala è stracolma: ci sono oltre 600 persone, i carabinieri bloccano i ritardatari.
Ci sono coppie e gruppetti di amici, uomini e donne, si vede qualche testa rasata con giubbotto nero, ma anche famigliole con i figli adolescenti e pure padre Gabriel Codrea, un prete ortodosso. «L’ho letto quasi tutto e voglio una dedica. Mi trovo perfettamente d’accordo con quello che ha scritto e dice» spiega la signora Emma Erbogasto, mostrando orgogliosa una copia del volume. «Esprime il pensiero della gente normale che lavora e non ha grilli per la testa» interviene il marito Alfredo, sostenendo che «le minoranze non devono essere superiori alla maggioranza». Giovanni Alborghetti, che è partito da Brescia e che chiede un autografo «per il console generale della Repubblica popolare cinese di Milano», ripete: «È un uomo che dice le cose in modo diretto».
Nella sala, accanto a un banchetto con la seconda edizione del libro pubblicata dalla casa editrice “Il Cerchio” in vendita a 23 euro che finisce subito sold out (la prima è quella autopubblicata su Amazon il 10 agosto, una specie di Gronchi Rosa del vannaccismo), c’è la bandiera del centro studi Suvorov. Vito Comencini, ex deputato lighista e promotore del gruppo, scherza ma fino a un certo punto dicendo di essere qui «per convincere il generale a non candidarsi con la Lega del Ponte per Salvini premier». Accanto a lui Roberto e Salvatore, che si autodefiniscono elettori del centrodestra, aggiungono che «qualcuno vuole calare dall’alto un mondo diverso da quello che conosciamo». Il loro pensiero va all’Unione europea che «va completamente rivista perché oggi impone solo dei diktat».
Il generale Vannacci, giubbotto blu e sorriso “low profile”, stringe mani, sorride e sta a sentire tutti, stile cacciatore di preferenze in campagna elettorale. Riceve svariati inviti per organizzare nuove presentazioni, con gentilezza declina, «sarei impegnato da qui alla prossima estate». Piuttosto pensa ai contratti già firmati per le traduzioni in tedesco, spagnolo, romeno e sloveno. Alle domande su una sua eventuale candidatura alle Europee glissa. «Ho venduto 240 mila copie. Se possono trasformarsi in 240 mila preferenze? Non faccio il politico, faccio il soldato». Si esercita nel dribbling dialettico. «Valuto qualsiasi opportunità e ringrazio chi mi ha dimostrato stima – prosegue -. Ma mi piace essere padrone del mio destino». Poi, però, aggiunge: «Non so come funziona il Parlamento europeo. Io sono competente in materia di difesa, che potrebbe essere un punto di partenza. Non vorrei però passare da professionista di un settore a dilettante di un altro».
Quanto all’ipotesi che a marzo esca una sua biografia per Piemme, intitolata “La forza e il coraggio”, di nuovo ingrana la retro. «Da tempo mi frulla fra le meningi un nuovo libro, ma il titolo uscito è una farloccheria. Un po’ come la storia della vestaglia. Io non uso né accappatoi né pigiami, mai. E così quando ho fatto il tuffo di Capodanno ho preso dall’armadio un regalo di trent’anni fa. Nessuna mossa studiata».
Qualcuno contesta, ma il pubblico gli urla di andarsene. L’organizzatore della serata, il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, ex Udc, già assessore all’epoca Galan, oggi nel gruppo misto dopo essere stato eletto come indipendente nella lista Zaia, lo osserva con ammirazione. «Dice cose se vogliamo anche banali, alcune le condivido e altre no, però ha soprattutto il coraggio di dirle anche se sono diverse dal pensiero dominante. In Italia appena dici qualcosa fuori dal coro vieni subito massacrato. Hanno detto che l’ho invitato su mandato di Putin. Ma a suggerirmi l’idea è stata la compagna di un militare americano della caserma Nato di Vicenza…».
Alla fine, forse, la forza di Vannacci è questa. Polarizza il dibattito. Bordeggia le rocce appuntite del razzismo e dell’omofobia, gioca al gatto e al topo con il politicamente scorretto, incarna la maschera del paladino della “normalità” ma soprattutto quella dell’alfiere del libero pensiero. Ed è proprio questo aspetto, più di metodo che di contenuto, quello che ha fatto la fortuna editoriale e mediatica di Vannacci. Il vero dubbio, ormai, non riguarda tanto la sua discesa in campo, ma se un generale si accontenterà del ruolo di colonnello della Lega per Salvini premier. Molti vannacciani sognano più in grande.