L’ultimo messaggio
Eleonora Camilli
Un disegno del suo volto dai tratti sbiaditi e accanto poche righe scritte in francese: «Se dovessi morire riportate il mio corpo in Africa, mia madre ne sarà lieta. I militari italiani non capiscono niente, solo i soldi. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, che soffre molto a causa mia. Possa la mia anima riposare in pace». Ousmane Sylla, 22 anni, originario della Guinea, ha affidato le sue ultime parole al muro del settore 5 del Centro per i rimpatri di Ponte Galeria, alle porte di Roma. Poi intorno alle 3 di domenica notte si è raccolto in preghiera e poco dopo, alle 5, i compagni di stanza hanno trovato il suo corpo impiccato alla grata della loro cella. Inutili i tentativi di rianimarlo. Il medico arrivato sul posto non ha potuto far altro che constatare il decesso. Sul corpo sarà effettuata l’autopsia, ma stando alle prime ricostruzioni si tratta dell’ennesimo suicidio tra le sbarre, questa volta in uno dei centri destinati ai migranti che dovrebbero essere rimpatriati nel loro Paese. Ousmane aveva già trascorso tre mesi in detenzione nel Cpr di Trapani, dove era stato rinchiuso il 13 ottobre scorso. Poi dopo i disordini delle ultime settimane, che hanno reso la struttura inagibile, è stato trasferito a Roma. Qui il trattenimento, dopo il rinnovo, sarebbe durato almeno altri tre mesi, in attesa di un rimpatrio quasi impossibile. Con la Guinea il nostro Paese non ha, infatti, un accordo di cooperazione in materia migratoria. Ma la condizione di limbo giuridico in cui da mesi si trovava a vivere ha aggravato lo stato emotivo del ragazzo. Piangeva spesso e si diceva esausto – hanno raccontato i compagni – parlava dei fratellini rimasti in Africa, a cui avrebbe dovuto provvedere. Chiedeva di sua madre. Ora che il suo progetto migratorio era andato in fumo non riusciva a farsene una ragione.
Dopo il suicidio del ragazzo nel centro è scoppiata una rivolta. I migranti hanno dato fuoco ad alcune coperte e lanciato sassi per denunciare lo stato di abbandono in cui vivono in 99, tra cui 4 donne. «Quel posto è un inferno, le persone sono trattenute in maniera disumana» denuncia Riccardo Magi, segretario di +Europa, tra i primi a entrare nel pomeriggio di ieri nella struttura, con una delegazione composta dalla deputata Pd Cecilia D’Elia e dai Garanti delle persone private della libertà di Roma e del Lazio, Valentina Calderone e Stefano Anastasia. «Farò subito un’interrogazione urgente al ministro Piantedosi. I detenuti ci hanno parlato di condizioni infernali da un punto di vista sanitario, d’igiene e di alimentazione». Nel Cpr manca l’acqua calda e c’è un solo telefono per le comunicazioni all’esterno. Nelle ultime settimane alcuni dei migranti hanno iniziato a compiere atti di autolesionismo. «Ci hanno mostrato gli arti fratturati, in particolare le caviglie e le gambe» aggiunge Magi. «Si tratta di luoghi di afflizione peggiori di un carcere. E nel momento in cui si prevede che la detenzione possa arrivare a 18 mesi, la condizione diventa insostenibile. Bisogna vederlo per capire di cosa parliamo». Anche D’Elia chiede al ministro di entrare nella struttura per vedere in che condizione vivono le persone. «I migranti sono in gabbia, non è ammissibile che siano tenuti così. Quel centro va chiuso, è una follia pensare che possano essere trattenuti lì fino a un anno e mezzo. Tra l’altro alcuni non saranno mai rimpatriati».
Anche i due garanti dei detenuti parlano di una situazione estremamente degradante e oggi saranno in procura a riferire quanto documentato durante la visita. «Qui manca tutto – sottolinea Anastasia – e lo denunciamo da anni, devono essere ripristinate le condizioni minime di dignità». «Si tratta di una situazione nota a tutti – aggiunge Calderone – le persone rimangono per mesi in stato di detenzione, senza uno scopo ma in condizioni disumane. Non c’era bisogno di aspettare la morte di un giovane ragazzo per dire che questi posti vanno chiusi».
Il Cpr di Ponte Galeria è uno degli 8 centri attualmente in funzione in Italia, insieme a quelli di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Potenza, Gorizia, Nuoro e Milano. La struttura di Torino risulta inagibile, mentre quella di Trapani è solo parzialmente utilizzabile dopo le ultime rivolte. La capienza teorica di queste strutture è di circa 1.300 persone, nella realtà sono utilizzabili per la metà dei posti. Secondo la rete degli attivisti No ai Cpr quella di Ousmane è la quarantesima morte nelle strutture per il rimpatrio dalla loro istituzione a oggi.