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15 Giugno 2024Nel saluto alla stampa il cardinale Betori parla della città e dei suoi sedici anni alla guida della diocesi
Mauro Bonciani
Una lunga chiacchierata, tra sorrisi, confidenze — batte le nocche sul tavolo a sottolineare «la cocciutaggine del vescovo» quando parla dei dieci anni di lavoro e 5 milioni di spesa per catalogare tutte le opere d’arte e alto artigianato della Diocesi, ben 271.000 alla fine — sguardi al passato, ma anche presente e al futuro. A quella che ormai è diventata la sua città, dove rimarrà come arcivescovo emerito e dove vuole essere seppellito. «A Firenze — sottolinea subito Giuseppe Betori nell’incontro di saluto ai giornalisti — è necessario ricreare il tessuto sociale. Sta venendo meno, in centro in modo particolare ma anche altrove, il tessuto sociale, i legami, lo stare uniti tra di noi, anche nelle nostre parrocchie. Occorre ritessere la socialità, non spetta a me dire se con una piano casa, con la viabilità, con altre strutture, queste sono scelte politiche… Un tessuto sociale senza il quale la città non può essere semplicemente vetrina, non può essere soddisfazione di bisogni quotidiani per chi viene tra di noi: deve essere una città, riconquistarsi come città attraverso la riconquista dei legami, delle relazioni, del tessuto sociale».
L’incontro con la stampa arriva alla vigilia della messa che il cardinale e arcivescovo terrà domani pomeriggio in Duomo per salutare la sua città e i suoi preti e suore — lo stemma di Betori è stato già tolto dalla facciata dell’arcivescovado per fare spazio a quello di Gambelli — mentre il 24 giugno ci sarà la consacrazione del nuovo arcivescovo Gherardo Gambelli, il prete missionario. Betori non si nega alla domande. Ad iniziare dai cambiamenti di Firenze (e della Diocesi) nei 16 anni del suo mandato episcopale. «Nell’essere comunità — spiega — c’è dentro tutto: la dignità della persona umana, la giustizia, il lavoro. C’è anche la protezione: la piccola Kataleya non sappiamo dove sia, dietro un muro invalicabile, ma non vogliamo dimenticarla mai… Il mio mantra è ricreare il tessuto sociale: non esistono soluzioni facili, io non ho ricette, come non le ho date ai miei sacerdoti, ma pongo riflessioni in un orizzonte comune. Tutta la mia stima e deferenza va agli amministratori passati e futuri: loro devono fare, non possono restare all’orizzonte, devono concretizzare».
E sull’assalto del turismo dice: «Anche se l’impatto oggi del turismo sulla città sta diventando pressante, non penso che dobbiamo contingentare chi viene a visitarci: perché privare qualcuno della bellezza a vantaggio di qualcuno che magari ha più soldi, con un balzello? Il problema è che non siamo ancora riusciti a individuare una modalità con cui presentare l’anima di Firenze, e non solo il volto esteriore che si riduce a immagine, selfie, a palazzi da ammirare, a dipinti da contemplare. È necessario ridare il contenuto alla forma di Firenze: non vale solo per l’arte sacra, questa credo sia la missione futura di Firenze. I turisti non li potrai mai cacciar via, anche se li dovessi selezionare torneranno qui: ma se non sappiamo chi siamo, perché noi abbiamo fatto quelle opere, e non sappiamo dirlo agli altri, che ci stiamo a fare qui? Non siamo nell’operosa Torino, o Milano, con le loro fabbriche, noi siamo qui, la nostra realtà è fatta di questo». Quando è arrivato — «16 anni fa, non tutti semplici» — Betori ha ordinato 7-8 sacerdoti per anno, adesso uno o due al massimo: «C’è stato un crollo — afferma — lo stesso dell’Occidente e dell’Italia. Abbiamo un clero meno numeroso, ma buono, di valore, sennò il pontefice non avrebbe “pescato” qui per nominare 5 vescovi in questi anni. Questa realtà ci sprona a definire una nuova comunità, un nuovo modo anche di educare i giovani». E su cosa dire al nuovo arcivescovo, risponde: «Lo conosco da tempo, ho fiducia in lui. Al mio successore ho detto “sii te stesso”. Sii te stesso, e sii nella tradizione fiorentina, e lui è fiorentino e non avrà difficoltà a farlo». Infine sulla mancata presenza di Papa Francesco nel 2022 al Convegno dei vescovi sul Mediterraneo, assenza polemica anche se fu spiegata con un dolore al ginocchio, Betori risponde: «Il convegno era della Cei non della Diocesi. Con lui c’è un rapporto molto bello, con la schiettezza da persone adulte e con affetto reciproco, e lo abbiamo ospitato come Diocesi in due eventi molto positivi e importanti, il convegno Cei nel 2015 e la sua preghiera sulla tomba di don Milani a Barbiana».
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