Le precisazioni seguite alla lettera di Meloni a Von der Leyen non devono trarre in inganno, spiegano in ambienti di Fratelli d’Italia: Meloni non ha alcuna intenzione di modificare o ammorbidire la linea che l’ha portata al successo nelle urne dell’8 giugno, né di piegarsi ad alcun diktat di Bruxelles. Non c’è ovviamente nulla di personale nei confronti della riconfermata Presidente della Commissione europea, semmai verso il commissario uscente alla Giustizia Reynders che ha firmato il rapporto sullo stato di diritto in Italia, denunciando impropriamente, a giudizio di Meloni, le violazioni del diritto all’informazione e criticando senza approfondirne il contenuto la proposta di riforma costituzionale del premierato che rappresenta un punto centrale del programma di governo del destra-centro.
In altre parole Meloni non intende prendere atto delle critiche, che considera ingiustificate e basate su informazioni approssimative e pregiudiziali. E continuerà a prendersela con la Commissione fino a che non riterrà di aver ottenuto la considerazione che l’Italia, prima ancora che il suo governo, meritano. Con queste premesse, spiegano dall’interno del partito della premier, non ha senso parlare di linea «dura» o «morbida», sovranista o europeista. Il punto è il rispetto per il nostro Paese, che la premier ritiene che al momento non ci sia e non possa essere negato a un Paese fondatore dell’Unione.
Sarà pure: ma potrebbe rivelarsi ingenuo aspettarsi che possano essere mitigati con questi chiarimenti gli effetti di una lettera assai poco diplomatica, tra l’altro consegnata ai media proprio al di fuori dei canali diplomatici, in cui la Presidente della Commissione veniva messa sotto accusa per il contenuto del rapporto sullo stato di diritto sull’Italia, elaborato esattamente con lo stesso metodo con cui vengono preparati questo genere di documenti che riguardano tutti i Paesi membri dell’Unione. Per non dire della scelta del momento, tatticamente infelice, per reagire in modo così pesante alle autorità di Bruxelles: proprio mentre il governo è impegnato nella delicata trattativa per le deleghe da attribuire al commissario italiano – il ministro Fitto è il candidato più accreditato – in uno scenario in cui, è chiaro, nessuno è disposto a regalare niente.