L’ex capo del governo ricorda il conflitto del 2006 sotto la sua gestione e avverte sui rischi dell’operazione
L’intervista all’ex premier dello Stato ebraico
di Fabio Tonacci
TEL AVIV — «Se Israele invade il Libano fa un errore di proporzioni storiche ». Perché? «Perché James Bond non vince le guerre». Questa frase merita una pausa e una riflessione, perché a pronunciarla è un signore che oggi compie 78 anni e che, nei suoi tre anni da premier dello Stato ebraico, ha invaso il Libano e ordinato decine di operazioni alla James Bond. «Sono certamente utili, servono a minare la stabilità del nemico, come accaduto con l’esplosione dei cercapersone di Hezbollah, ma non basta avere i migliori servizi segreti al mondo per vincere un conflitto di terra». Repubblicaincontra Ehud Olmert nel suo ufficio, in un palazzo nel centro di Tel Aviv. Sulla scrivania il computer, sulla mensola sotto alla finestra la cloche originale dell’F-15 che bombardò nel 2007 il reattore nucleare di Al Kibar, in Siria. Una delle missioni alla Bond che Olmert ha autorizzato, tra il 2006 e il 2009.
La sua avversione verso Netanyahu è nota. Ritiene l’operazione di terra una mossa sbagliata in sé o solo perché la vuole il governo in carica?
«Entrare con l’esercito significa impantanarsi nella palude del Libano e perdere molti soldati.
Oltretutto il lancio dei razzi sulla Galilea non si fermerà, quindi i 60-70 mila sfollati del Nord non torneranno alle loro case prima di uno o due anni».
L’idea dominante nella politica israeliana è invece che Hezbollah sia ridotto ai minimi termini e che vada sfruttato il momento per chiudere per sempre la partita.
«Ci dimentichiamo dei missili.
Ammettiamo che Hezbollah ne abbia ancora a disposizione 25 mila, e vado per difetto. Molti hanno una gittata di ben oltre 40 chilometri, quindi se in due-tre mesi i nostri soldati cacceranno i miliziani oltre il Litani, essi avranno lo stesso modo di colpire il territorio di Israele».
Qual è l’alternativa, allora?
«Raggiungere un accordo con il governo libanese per la pace e il
ritiro oltre il fiume».
E pensa che il governo di uno Stato collassato sia capace di farlo rispettare?
«Da solo, no. Ma con l’impegno degli americani e dei francesi e, se è necessario, coinvolgendo gli iraniani, sì».
Quale prospettive si aprono per Israele e per l’assetto regionale dopo l’uccisione di Nasrallah?
«È una fase propizia per mettere all’angolo l’Iran e Hezbollah, non infiammando la regione con una guerra globale ma con uno sforzo diplomatico della comunità internazionale e inviando una forza di interposizione nel Sud del Libano. È la strada migliore, meno costosa dell’invasione».
Lei nel luglio 2006 fece il contrario, optò per l’invasione.
«Non era pianificata e non siamo entrati su larga scala.
Solo nelle ultime 48 ore dei 34 giorni di conflitto ordinai ad alcune divisioni dell’Idf di spingersi a Nord per scuotere la discussione in corso al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Penetrarono di uno, due chilometri. E la risoluzione 1701 che venne approvata per qualche anno ha funzionato, grazie anche alla presenza italiana nel contingente Unifil».
Ne parlò con Prodi, il primo ministro italiano di allora?
«Con lui siamo amici, lo conoscevo già dai tempi in cui era presidente della Commissione europea. Mi chiamò e mi disse che voleva darci una mano e mandare i soldati italiani ma che per farlo doveva ottenere l’ok del Parlamento. La sinistra era contraria, quindi mi chiese di chiamare Berlusconi e di convincerlo a votare col governo».
E lei lo fece?
«Certo. Lo chiamai e gli dissi: “Silvio, sei amico di Israele?” Lui rispose, “Certo”. “Allora vota a favore del governo”. Replicò, “Mi stai chiedendo di votare per Prodi?”. Eio, “No, ti sto chiedendo di votare per me”».
L’intervento in Libano contro Hezbollah nel 2006 è considerato un fallimento, lo sa vero?
«È perché il mondo occidentale non è abituato a combattere contro le organizzazioni terroristiche. Non sono un esercito regolare, non hanno una divisa, si confondono con i civili, non si riesce a calcolare le perdite a loro inflitte. I terroristi per definizione non alzano bandiera bianca, e se non c’è bandiera bianca allora pare che non ci sia vittoria.
Comunque fino all’8 ottobre 2023 Hezbollah non ha più sparato un colpo contro Israele».
Quando l’ha fatto si è scoperto che le loro postazioni e i loro missili erano a ridosso del confine, la risoluzione 1701 non era stata rispettata.
«Per 3-4 anni sì, poi è arrivato Netanyahu e ha spostato l’attenzione delle nostre forze di sicurezza dai confini Nord-Sud all’Iran. Ora sostiene che distruggerà la minaccia iraniana. Si dimentica di dire che per fermare i missili degli ayatollah abbiamo bisogno di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna».
Nel 2006 provaste ad uccidere Nasrallah?
«Abbiamo cercato l’occasione giusta per farlo, ma appena cominciammo a bombardare il quartiere Dahieh, a Beirut, Nasrallah venne spostato a Nord dal generale iraniano Qasem Soleimani (ucciso nel 2020, ndr )».
Cosa ha pensato venerdì quando ha appreso la notizia?
«Me l’aspettavo. Sapevo che avevamo la capacità di eliminare Nasrallah».
Le stime parlano di 300 morti nell’attacco su Beirut, non c’era proprio altro modo per farlo?
«Vi posso assicurare che Dahieh è al cento per cento un quartiere abitato da membri di Hezbollah, molta della gente che vive lì nasconde missili e esplosivi. Non si poteva fare altrimenti».