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Il leader: Renzi bomba a orologeria, non ci accostiamo a lui in Emilia e Umbria. Iv: noi restiamo
Adriana Logroscino
Roma «Non sono disponibile ad affiancare il simbolo di Italia viva in Emilia-Romagna e in Umbria». Giuseppe Conte, dopo una serie di prese di posizione contro Renzi del tipo «o lui o noi», allarga il veto già posto in Liguria, alle altre due regioni al voto in autunno. E mette la parola fine all’alleanza ampia del centrosinistra avvertendo il Pd: «Renzi è un problema politico serio di cui non c’è consapevolezza da parte del gruppo dirigente del Pd, è una bomba a orologeria — dice l’ex premier ospite di Bruno Vespa —. Da stasera certifichiamo che il campo largo non esiste più».
È un’ulteriore scossa nell’area di centrosinistra che prova a strutturarsi sotto l’egida del Pd. In Emilia-Romagna i renziani erano al lavoro su una lista progressista che, come già ipotizzato per la Liguria, avrebbe mitigato l’effetto di vedere sulla scheda i simboli di Iv accanto a quello del M5S. Ma ora Renzi, all’ulteriore no pasaran di Conte, reagisce mettendo in chiaro: «Italia viva è già in maggioranza in Emilia-Romagna, alle elezioni ci presenteremo a fianco di Michele de Pascale (il pd candidato presidente, ndr) con il nostro simbolo, come già concordato». Insomma, se Conte sceglie la linea dura, Renzi schiera le truppe.
Nel Pd l’accelerazione del leader pentastellato non smuove Elly Schlein dalla sua strategia di non cedere alle provocazioni: alla Camera respinge i cronisti con un «non parlo» e si allontana. Tuttavia il veto di Conte, filtra dal partito, è giudicato «irricevibile». Nel giro stretto di Schlein il convincimento è che Conte punti a mettere in difficoltà la leader Pd della quale, tanto più dopo il buon risultato delle Europee, teme l’egemonia nel campo progressista. «Il voto delle Politiche è lontano — è il ragionamento — e per ora l’ex premier prova a erodere il consenso di Schlein, secondo il vecchio schema che ha fatto cadere tanti segretari prima di lei». In questo caso, però — è sempre l’opinione tra i dem alla segretaria — «la strategia si scontra con l’inattaccabilità di Elly per la sua storia e per quei principi su cui è irremovibile».
Una prova ne sarebbe stata il voto che giusto ieri il Pd ha dato in Senato: la giunta delle immunità decideva se Carlo Calenda dovesse rispondere davanti a un giudice di diffamazione aggravata nei confronti di Clemente Mastella — che ha presentato querela per un post in cui riteneva di essere stato «accostato alla mafia» — o se fosse coperto appunto dal principio di insindacabilità riconosciuta ai parlamentari. I componenti Pd, come tutte le forze di opposizione, hanno negato l’immunità a Calenda (che sarà comunque votata in aula). Inevitabile, asseriscono i componenti. Eppure in passato quel principio è stato interpretato in modo estensivo proprio dai dem.
Se Schlein ignora Conte e tira dritto, tuttavia, il fedelissimo Marco Furfaro alza un argine: «Non si può decidere in un salotto di Porta a porta se fare un’alleanza o no. Quando Conte dice che non vota con il Pd, io mi rattristo e penso che Giorgia Meloni sia felice». Il presidente del gruppo al Senato, Francesco Boccia, prova con un distinguo semantico e insieme rivendica la centralità del partito: «Il campo largo non è mai esistito, esiste il centrosinistra. Ed esiste il Pd che sente la responsabilità di guidare un processo politico alternativo alla destra, se non vogliamo che Giorgia Meloni resti a Palazzo Chigi sine die. Dove si può fare l’alleanza si farà, dove non si potrà, non si farà».
Un atteggiamento che svela quel che è noto: non è in Emilia-Romagna, dove parte con largo vantaggio, che il Pd deve cercarsi alleati a tutti i costi. Anche se il candidato de Pascale si appella alle forze politiche: «A Roma no, ma in Emilia-Romagna un’alleanza larga e un progetto condiviso già ci sono. Voglio occuparmi solo della mia regione. Con grande rispetto, chiedo a tutti di fare lo stesso».
L’ultima uscita di Conte mette però in imbarazzo Avs: il no a Renzi in Liguria, dove Iv sosteneva l’amministrazione comunale del candidato di centrodestra Bucci, è un conto, porre veti dove i centristi sono già in giunta è un altro. Conte però difficilmente per ora cambierà strategia: distinguersi dal Pd, anche strizzando l’occhio alla sua sinistra: «Fa piacere — sosteneva ancora nel salotto tv di Vespa — se ci sono forze politiche come Avs che possono condividere le nostre battaglie».