In un certo senso, un pittore deve analizzare il proprio lavoro a posteriori. Sono certo che i cubisti non l’avessero pianificato, che non si fossero messi lì a tavolino a dire: «Be’, bisogna rompere la prospettiva, questo è il problema». Si procede a tentoni, si va a tentoni lentamente e in modi diversi.
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Sono convinto che la longevità sia l’effetto secondario di una vita armoniosa. Se arrivi a una certa età, vuol dire che hai trovato il tuo ritmo.
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Se tutto è in funzione del vivere più a lungo possibile, si rinuncia a vivere.
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Sono nato appena prima della Seconda guerra mondiale e a quei tempi non si viaggiava granché.
Addirittura non conoscevamo nessuno che fosse mai stato a Londra. Era tanto, tanto lontana.
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È difficile dire perché ho deciso di voler fare l’artista. Ovviamente, ero più portato di altri, ma a volte si è portati perché si è più interessati a osservare le cose, a esaminarle e a raffigurarle, più interessati al mondo visivo rispetto agli altri.
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Ricordo che una volta, quando ero studente, trovai una copia di Che cos’è l’arte? di Tolstòj, e nella mia ingenuità mi aspettavo che a pagina dodici dicesse che cos’era. Oggi mi rendo conto che non esiste una risposta definitiva a questa domanda.
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Avevo scoperto che qualsiasi cosa poteva diventare il soggetto di un dipinto, che qualunque cosa era materiale che potevo usare. Questo, di per sé, mi dava un senso di libertà.
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Negli anni sessanta tutti erano convinti che, in pittura, la strada da seguire fosse quella dell’astrazione. Non c’erano altre vie d’uscita. Anch’io la pensavo così, e lo pensavo ancora quando ho iniziato a rifiutarla.
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In California la luce è molto limpida. A volte riesci a vedere a centinaia di chilometri di distanza. È davvero limpidissima ed è la cosa che mi è piaciuta di più.
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La California è sempre stata il posto giusto per me.
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Mi attraeva l’idea di dipingere l’acqua in movimento, lentamente e con molta precisione.
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Non sono avido di denaro, sono avido di una vita emozionante. Ma d’altra parte, posso trovare emozionante la pioggia che cade in una pozzanghera.
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Ci sono momenti della vita, quando sei in viaggio o ti trovi in un certo posto, in cui di una giornata ti ricordi quasi tutto.
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Vediamo con la memoria. Non c’è mai una visione oggettiva, mai.
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Stavo accompagnando qualcuno qui in macchina e gli chiesi di che colore fosse la strada. Dieci minuti dopo gli rifeci la stessa domanda e lui si accorse che era diverso. Disse: «Non ho mai pensato a quale fosse il colore della strada». È pur vero che, se non c’è qualcuno che te lo chiede, è semplicemente color strada.
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Bisogna vivere nel qui e ora. È il presente a essere eterno.
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Viviamo in un’epoca in cui si produce una gran quantità di immagini che non pretendono di essere arte, ma qualcosa di molto più sospetto… di essere realtà.
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Mi piace guardare il mondo. Il mondo è emozionante, anche se parecchie immagini non lo sono.
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L’educazione visiva viene considerata irrilevante, ma quello che vediamo intorno a noi influenza ogni aspetto della nostra vita.
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La risata è l’unico momento in cui il nostro meccanismo di attacco o fuga è spento. Fa bene.
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Ogni giorno mi faccio una bella risata. È necessario. È quello che ti fa andare avanti.
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Se sei un artista, la cosa migliore da fare quando ti arrivano dei soldi è usarli per produrre l’arte che vuoi.
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La vanità degli artisti è questa, volere che le proprie opere siano viste. È questo che desideri, più di ogni altra cosa.
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Non ti metti a fare l’artista se non vuoi condividere un’esperienza, un pensiero. Io mi preoccupo costantemente di come ridurre le distanze, in modo che tutti possano sentire che siamo uguali, che siamo una cosa sola.
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L’arte non progredisce. Alcuni dei primi dipinti sono ancora oggi i migliori.
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L’arte ci aiuta a vedere da almeno trentamila anni.
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La prima persona che disegnò un animale venne osservata da un’altra, e quando a quest’altra capitò di rivedere la stessa creatura, la vide un po’ più chiaramente.
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Nell’immaginario di alcuni storici, lo studio di Van Eyck doveva essere come quello di Cézanne: il rifugio solitario dell’artista. Assolutamente no. Sarà stato qualcosa di più simile alla Metro-Goldwyn-Mayer: costumi, parrucche, armature, lampadari, modelle.
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È una battuta, ma faccio sul serio quando dico che Caravaggio ha inventato l’illuminazione hollywoodiana. Ha inventato un modo di illuminare le cose in maniera drammatica.
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Rembrandt ha messo nei volti più di chiunque altro, prima e dopo di lui, perché vedeva di più. Era una questione di occhio, e di cuore.
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Chiunque abbia disegnato capisce quanto siano meravigliosi i disegni di Rembrandt; c’è un’economia di mezzi che ti lascia senza fiato. Si vede la velocità.
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C’è un disegno di Rembrandt che credo sia il più bel disegno mai fatto nella storia. Si trova al British Museum e ritrae un bambino a cui la famiglia insegna a camminare.
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Quando Hokusai disegna uno dei suoi ponti, sotto quei ponti non ci sono ombre… La maggior parte della gente non ci fa caso. Vede semplicemente una bella immagine.