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26 Ottobre 2024
Esplosioni su Teheran. «Raid mirati su obiettivi militari». Gli Stati Uniti : «È autodifesa»
Francesco Battistini
Gerusalemme Cinque esplosioni nel buio delle tre e mezza. Il cielo si fa rosso, a Teheran. S’incendia dalle parti dell’aeroporto internazionale Khomeini, nei quartieri orientali, dov’è una caserma dei Pasdaran. Si sentono scoppi a Islamshahr, nella cintura meridionale, e dove c’è un forte militare vicino all’autostrada Fath. La tv di Stato va in diretta, com’è nei momenti più gravi. Un presentatore avverte che ci sono esplosioni, ma precisa che «l’origine non è chiara» e forse son dovute all’efficacia del sistema aereo di difesa. Nello stesso istante, i social mandano video d’una caserma in fiamme e tutti capiscono: è cominciato l’attacco d’Israele all’Iran.
Dies Iran, notte d’inferno. Da Gerusalemme, impiegano dieci minuti a confermare. «Stiamo conducendo precisi attacchi su obbiettivi militari», comunica un portavoce dell’Israel Defense Force, quando le tv americane hanno già rilanciato la notizia: «È la risposta a mesi di continui attacchi dal regime iraniano contro lo Stato d’Israele. Come ogni altro Paese sovrano nel mondo, abbiamo il diritto e il dovere di rispondere». Non è solo la rappresaglia per l’ultimo, massiccio bombardamento iraniano del 1° ottobre, i duecento missili che volevano vendicare la morte di Nasrallah: «Il regime dell’Iran e i suoi alleati nella regione non fanno che attaccare dal 7 ottobre, su sette fronti, includendo anche attacchi diretti dal territorio iraniano». Solo un mezzo no-comment dalle fonti ufficiali americane: «Noi comprendiamo che Israele stia conducendo attacchi mirati su obbiettivi militari — dice il portavoce Sean Savett — ma per avere informazioni rivolgetevi al governo israeliano». Il raid israeliano su Teheran arriva poche ore dopo che gli Usa avevano spostato una pattuglia d’F-16 in Germania, segno probabile che la Casa Bianca fosse stata informata in anticipo. Lo stesso segretario di Stato, Antony Blinken, prima di lasciare il Medio Oriente avrebbe chiesto a Netanyahu d’evitare i siti nucleari e petroliferi iraniani, cercando di limitare gli effetti d’una vendetta che appariva ormai inevitabile.
«La rappresaglia d’Israele contro l’Iran avverrà molto presto», aveva avvertito venerdì mattina un analista molto ben informato sugli affari della Difesa: «Forse sarà già partita tra il momento in cui scrivo queste righe e la pubblicazione di questo giornale — era stata la profezia di Yoav Limor su Israel Hayom —. La decisione è stata presa, gli obbiettivi sono stati individuati: resta da decidere il momento, che è una faccenda da lasciare ai professionisti delle operazioni militari».
La decisione d’attaccare adesso, secondo fonti dell’Idf, sarebbe stata presa dopo le ultime prese di posizione iraniane sugli attacchi israeliani a Gaza e in Libano: dopo Nasrallah e Sinwar, qualunque altra uccisione mirata avrebbe costretto Israele ad aspettarsi nuovi droni e missili su Tel Aviv. Dunque, si son detti i generali israeliani: perché aspettare? La strategia ufficiale, ripetono, è quella di non voler estendere la guerra in atto. E molti esperti militari israeliani insistono nel sostenere che l’Iran non ha alcun interesse ad andare oltre le «rappresaglie di prammatica». Dicono che Teheran è troppo esposta nella difesa del territorio, ha una difesa aerea che non copre tutti gli obbiettivi possibili, e anche il suo «anello di fuoco» delle tre H, Hezbollah-Houthi-Hamas, non ha la potenza di tre mesi fa. I calcoli però potrebbero rivelarsi sbagliati, com’è già accaduto: è ancora più difficile, adesso, evitare il conflitto regionale. Lo stesso Limor si chiedeva, poche ore prima del bombardamento, se non fosse stato il caso d’aspettare almeno le elezioni americane e il nuovo inquilino della Casa Bianca, il 20 gennaio. Tre mesi,a Netanyahu sono sembrati un’eternità. E la risposta è arrivata questa notte.
Gli scenari
Russi, Hezbollah, Houthi: l’alleanza «circolare» contro il grande nemico
di Guido Olimpio
La rivelazione è arrivata dal Wall Street Journal : i russi avrebbero aiutato, in modo indiretto, gli Houthi a prendere di mira le navi nel Mar Rosso. Un’assistenza rappresentata da dati satellitari passati attraverso l’amico comune, l’Iran. L’ultimo esempio di un’alleanza «circolare», dove conoscenze belliche sono scambiate in contrapposizione allo schieramento occidentale che coordina i propri sistemi.
Il movimento sciita libanese ha inviato, da molto tempo, i suoi specialisti di droni nello Yemen, un nucleo che ha affiancato i consiglieri iraniani. I guerriglieri yemeniti hanno utilizzato i suggerimenti per migliorare le tattiche e modificare, eventualmente, alcuni dei «mezzi». Un cargo iraniano, invece, è diventato base per i pasdaran nelle acque yemenite. Mosca era stata contattata sempre dagli Houthi per ottenere missili da crociera più potenti di quelli in dotazione. L’accordo, però, sarebbe stato congelato dopo le pressioni dei sauditi sul Cremlino. Non è chiaro se siano state vendute altre armi. Ora si aggiunge la storia raccontata dal Wall Street Journal sulle coordinate satellitari per favorire le «imboscate» a mercantili e petroliere sulla rotta di Bab el Mandeb. I combattenti yemeniti avrebbero raggiunto prima l’Iraq e poi la Siria per assistere le milizie dell’area sempre sui droni. Un modo per restituire il favore e il sapere: dopo un anno di attacchi al traffico marittimo hanno molto da raccontare. Un paio di ufficiali Houthi sono stati uccisi da raid aerei in questo teatro, a conferma della loro presenza. Secondo gli esperti, i droni lanciati da nuclei della galassia sciita irachena (come Harakat al Nujaba e Kataeb Hezbollah) in direzione di Eilat sono varianti degli Shahed 101, qui ribattezzati Murad 5. Avrebbero caratteristiche identiche ai «pezzi» utilizzati dagli Houthi. La divisione aerospaziale dei pasdaran e la Qods (si occupa delle fazioni in Medio Oriente) sono diventate le «fonti» di tecnologia per missili ma soprattutto velivoli senza pilota. Oltre ad armare le «brigate» sciite che formano l’anello di fuoco attorno allo Stato ebraico hanno piazzato i loro prodotti in Russia. È ampiamente documentato il ricorso da parte degli invasori in Ucraina di diversi modelli di Shahed. L’Armata di Putin ha apprezzato i sistemi e li produce probabilmente su licenza. Di sicuro riverserà a Teheran dettagli su qualità, punti deboli e miglioramenti da adottare dopo la prova sul campo di battaglia. A loro volta i guardiani faranno girare le «note» tra i movimenti.
Infine, i nordcoreani: hanno collaborato con Teheran nella messa a punto di missili a lungo raggio e battelli per missioni speciali. Ci sarebbe stata la loro «mano» nella progettazione della rete di tunnel di Hezbollah. Ora è in corso l’operazione che porterà migliaia di militari in Russia, probabile tappa di avvicinamento verso il conflitto ucraino.