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di Franco Camarlinghi
«Il gigante è tornato e la sinistra trema», parole e musica di Susanna Ceccardi, l’ex sindaca di Cascina e attuale europarlamentare della Lega. Oddio, che la sinistra, in particolare in Toscana, tremi per la vittoria di Trump può darsi, ammesso che si renda conto di cosa comporta per tutti e in particolare per l’Europa l’affermazione clamorosa di un presidente degli Stati Uniti come l’immobiliarista. Detto questo, l’immagine del gigante che avanza a grandi passi per raggiungere le sponde del Mediterraneo e portare al successo i suoi seguaci toscani, ci dà subito una sensazione a cui del resto siamo da sempre abituati nella politica della nostra illustre regione. È il sapore di un’antica vocazione provinciale nel gioire sentendosi discepoli minori di chi altrove è un protagonista nel mondo (talora è sufficiente che lo sia al di là degli Appennini) e neanche suppone che esistiamo. Nell’eccitazione Ceccardi non si risparmia e celebra con vibrante retorica salviniana «la vittoria del coraggio e dell’orgoglio dei nostri alleati patrioti americani». La dichiarazione d’indipendenza è pronta e Filadelfia aspetta la delegazione toscana del centrodestra per gli aggiornamenti necessari dopo la versione del 1776. Giovanni Donzelli non è da meno, ma si limita alla lettura di un libro su Trump scritto nientedimeno che da Gennaro Sangiuliano che, viste le recenti vicende, Donzelli spera non cerchi di dare un incarico a una delle figliole di Trump.
Il quale Trump è facile che non sappia nemmeno dov’è Grosseto, ma se lo sapesse non porrebbe tempo in mezzo e correrebbe a prenotare un albergo per passare le vacanze con il sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna che meglio di tutti sintetizza la sua soddisfazione per l’elezione del collega Donald in un toscanissimo, lapidario, sintetico ed esaustivo «Come Godo», con tanto di capelli arancio. A dire la verità, bisogna riconoscere che i commenti della parte opposta non sono meno provinciali oltre che percorsi da una vena di tristezza e di sconcerto. È naturale che sia così dopo un risultato che inquieta chiunque abbia visto nell’America la fonte di una democrazia liberale che il tycoon in questione sembra non solo mettere in discussione, ma disprezzare, sia con i fatti che abbiamo alle spalle, sia con le dichiarazioni diurne e notturne. Dario Nardella riassume in una lunga dichiarazione l’intero umano sapere sui destini dell’Europa all’indomani del disastro elettorale dall’altra parte dell’Atlantico, concludendo con non minore passione retorica di quella della sua collega Ceccardi. «È l’ora che gli europei prendano in mano il proprio destino». Novello Byron, andrà a combattere in una qualche Grecia di oggi: non si sa, ma intanto c’è da sperare che qualcuno in Europa legga i comunicati dell’ex sindaco di Firenze, altrimenti destinati a rimanere nelle rassegne stampa di Eugenio Giani o di Sara Funaro. La vecchia guardia ex Pci con Enrico Rossi si limita a manifestare la propria amarezza, non rinunziando però a invocare una grande redistribuzione della ricchezza, nonché una riforma del capitalismo. Vaste programme , avrebbe detto De Gaulle. Il meglio, degno di Samuel Beckett o per i gusti più semplici di Franco & Ciccio, lo si trova in Alessandro Draghi (consigliere di FdI a Firenze) che propone le chiavi della città per Trump, visto che Nardella le aveva date a Richard Gere. Non si capisce il legame fra il famoso attore e il truce Donald, ma tant’è: chi l’ha detto che a destra non hanno un progetto per conquistare Palazzo Vecchio o prima Palazzo Strozzi Sacrati?
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