La tregua è passata con due «no» Da domani a casa i primi ostaggi
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18 Gennaio 2025A Gaza
DEIR EL-BALAHAGaza le ore passano con una lentezza mortale. Solo un giorno ci separa da domenica, quando la tregua entrerà in vigore, e due notti ci dividono dal momento in cui potremo tornare a casa. Sarà un nuovo inizio o la continuazione di una tragedia senza fine? I raid non si sono mai fermati, nuovi corpi di bambini e donne sono stati divorati dalle macerie. Non finiranno sui media globali. Ma resteranno qui, incisi nei nostri cuori, testimoni eterni dell’ingiustizia. Solo due notti ci separano dal giorno in cui la gente stremata dovrebbe poter tornare nelle aree dalle quali è fuggita. Ma come possiamo tornare nei luoghi trasformati nei cimiteri dei nostri sogni e dei nostri ricordi? E così di notte le emozioni si ingarbugliano in un mix di speranza e terrore. Alcuni di noi vivono nella speranza di tornare, anche tra le rovine, mentre altri non riescono a superare l’idea che la tregua si riveli solo una pausa tra ondate di violenza. Non dormiamo. Di notte il suono dei droni satura l’aria, cupo promemoria che la morte continua a osservarci dall’alto. Gli occhi restano spalancati, fissi sui soffitti crepati, sul cielo scuro, mentre i cuori si chiedono: «Quandoarriverà il prossimo attacco?».
Nonostante tutto, le persone si aggrappano all’idea di tornare. Non perché si aspettino una vita normale, ma perché si rifiutano di vedere la propria identità cancellata. Il ritorno non è solo verso le case, ma verso una terra che custodisce ricordi e dolore.
Eppure non sarà facile. Immagina di trovarti davanti alla tua casa, di trovarla ridotta a un cumulo di macerie. Immagina di tenere per mano tuo figlio, indicando il luogo dove giocava, ora un cratere.
Tornare non è una decisione, è una prova di resilienza contro la realtà spietata. Un amico mi ha detto: «Non mi resta nulla, ma tornerò perché questa terra è mia. Perché mi conosce come io conosco lei».
Mentre il mondo parla di pace, il popolo sa che la guerra a Gaza non concede che brevi pause durante le quali riprendere fiato. A Gaza la pace non è una parola, è un intervallo per riorganizzare la macchina da guerra. Ma non abbandoniamo la speranza. Di tornare. Di ricostruire. Di vivere.
Non è ingenuità, è la forza che scorre nelle nostre vene. È la sfida con cui affrontiamo la morte ogni giorno. Perché sappiamo che la nostra identità e i nostri sogni sono più forti delle bombe.