Il segreto americano
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20 Gennaio 2025di Massimo Gaggi
Il neopresidente: trasferire il 50% a una società americana. Strappo tra i repubblicani
WASHINGTON TikTok oscurata alla mezzanotte di sabato per poche ore. Giusto il tempo per riempire le altre reti sociali, soprattutto X, di messaggi disperati di “esuli” e dimostrare quanto la piattaforma cinese abbia creato una vera dipendenza in molti dei suoi 170 milioni di utenti americani, soprattutto i giovani. Poi è sceso di nuovo in campo Donald Trump con un post della sua Truth Social: ha annunciato che oggi, appena divenuto presidente, firmerà un ordine esecutivo che sospenderà per 90 giorni la messa al bando del social cinese decisa dal Congresso, in attesa di trovare una soluzione «che lasci TikTok attiva senza creare rischi per la sicurezza nazionale Usa».
Nello stesso messaggio, Trump ha avanzato un’ipotesi di compromesso, visto che ByteDance, la proprietaria cinese di TikTok, rifiuta di venderla: una joint venture controllata al 50% da capitale americano. Operazione tutta da definire, ammesso ci sia una disponibilità cinese. E comunque anche in una joint venture paritetica ci deve essere uno che comanda. Ma intanto Trump ha chiesto già ieri mattina a TikTok e alle società che la ospitano nel loro app store (Apple e Google-Alphabet), di ripristinare subito il servizio, promettendo che l’ordine esecutivo che emetterà oggi escluderà esplicitamente ogni possibile penalità per la riattivazione. La società cinese ha risposto positivamente alla richiesta di Trump e in serata gli utenti hanno riavuto la connessione con la rete.
Non è mancata una delle tipiche note di narcisismo del presidente: avrebbe potuto aspettare il suo insediamento per ripristinare il servizio, ma nel suo post The Donald si è detto impegnato a far sì che gli utenti di TikTok possano «vedere la nostra eccitante cerimonia inaugurale lunedì mattina».
La cessione
Johnson, speaker della Camera, ha ribadito la necessità di arrivare alla vendita di TikTok
Ci sarà, poi, tempo per affrontare gli altri aspetti di una questione che rischia di incrinare l’unanimità del mondo conservatore che Trump è riuscito a costruire attorno alla sua presidenza. Ieri mattina, proprio mentre il suo consigliere per la Sicurezza Nazionale, Mike Waltz, affacciava, in un’intervista alla CNN, la possibilità di un accordo con la Cina che garantisca la sicurezza dei dati dei cittadini Usa senza un vero trasferimento della proprietà di TikTok e il deputato Jim Jordan, influente parlamentare trumpiano, si diceva disponibile a un nuovo intervento del Congresso per modificare la legge, lo speaker repubblicano della Camera, Mike Johnson ha ribadito che è necessario arrivare alla vendita di TikTok. E al Senato il presidente della Commissione Servizi Segreti, Tom Cotton, che già sabato si era detto contrario ad ogni concessione a una rete definita strumento di spionaggio di un regime comunista, è tornato alla carica, stavolta con un altro senatore repubblicano, Pete Ricketts, affermando che «non esiste alcuna base legale per concedere qualunque tipo di estensione della messa al bando» della rete cinese, visto che la proprietà ha avuto otto mesi di tempo per trovare una soluzione.
Trump cercherà di neutralizzare queste obiezioni con una soluzione tecnica “ibrida” (parziale trasferimento della proprietà accompagnato da una “blindatura” dei dati dei cittadini Usa resi inaccessibili alle autorità di Pechino) e togliendo drammaticità allo scontro con l’avversario strategico cinese che lui stesso ha fin qui demonizzato. Ma ora, dopo il colloquio telefonico con Xi Jinping, promette una nuova era di cooperazione. Evidentemente Xi, pur aprendo ad accordi, visto che teme i dazi Usa, ha escluso la cessione di TikTok. Vista la vulnerabilità politica di Trump (ma anche dei democratici) agli umori degli utenti di TikTok (soprattutto i giovani, visto che, stando ai sondaggi, la maggioranza degli adulti, soprattutto repubblicani, è favorevole al bando), è probabile che Pechino faccia concessioni solo formali per consentire al presidente di salvare la faccia. Quanto al controllo dei dati, era stato già tentato anni fa mettendoli sui server della Oracle, ma nemmeno così è possibile garantire la loro blindatura.