Il 4 febbraio prossimo andrà all’asta da Christie’s a New York un acquerello che raffigura Venezia già attribuito a Ruskin È la testimonianza dell’ultimo viaggio in laguna del pittore
Nelle favole, talvolta, l’attraversamento di uno specchio, di un quadro o di un banco di nebbia dischiude la via per un mondo incantato. Uno schema narrativo impugnato anche da John Ruskin che, nel rievocare la magia dell’approdo a Venezia, trasforma la distesa d’acqua, attorno alla città, in uno specchio per una bellezza adagiata sulla sabbia di una clessidra. Illusione minacciata dallo spettro della clessidra, la cui ombra si allunga contro pietre destinate a diventaresabbia nel mare. L’idea della fuggevolezza del tempo indusse lo scrittore e pittore inglese a inseguire nel suo capolavoro, Le pietre di Venezia (1851), lo spettacolo di quel magnifico fantasma, che gli sembrava originato dalla bacchetta di un incantatore per ammansire: «tutto ciò che nella natura è crudele e senza pietà – Tempo o Decadenza – così come le onde e le tempeste».
Parole tanto note da aver favorito l’attribuzione allo stesso Ruskin di un acquerello della laguna, con la Serenissima che appena si distingue sullo sfondo. L’opera è rimasta nelle collezioni di Haddon C. Adams per quasi cento anni, parzialmente celata da un vecchio vetro verdastro che ne ha mantenuto il segreto. Finché, mesi fa, una fotografia di questo Approdo a Venezia , o Venezia dalla laguna , è finita nelle mani degli esperti di Christie’s, risvegliandone l’interesse. Qualcosa nello stile e nella paletta cromatica, di grande rigore e nitore, contraddiceva l’attribuzione tradizionale. L’opera è stata studiata e, infine, il supporto ha sgombrato il campo da ogni dubbio residuo: la carta è quella utilizzata da William Turner nel 1840. Le quotazioni dell’acquerello sono quindi impennate ed è plausibile che, durante l’asta newyorchese del prossimo 4 febbraio, raggiungerà la cifra di mezzo milione di dollari.
Una buona notizia per i venditori e per la storia dell’arte, riappropriatasi di un testo che fa vacillare la struttura dell’apparire, in virtù di un segno deciso e sintetico. Siamo nel cuore della poetica turneriana, nucleo da cui trassero una lezione fondamentale Claude Monet e Vasilij Kandinskij. Il nesso tra Romanticismo inglese e Impressionismo è acclarato, ma non si deve dimenticare che al principio del Novecento, seguendo Turner e Monet, Kandinskij trovò nel riflesso dei canali un solido alleato per svincolarsi dal dato oggettivo. Venezia comprime sul piano equoreo il cielo e il fondale marino, le case e chi vi si riflette. Nell’intrappolare frammenti di infinito nel piùpiccolo rio, e in ciascuno dei suoi momenti, Venezia è modello per il pittore che deve chiudere il proprio mondo su un pezzo di tela. Spinto da quella superficie fluttuante Giorgione rinunciò al disegno per cogliere il farsi luce del colore, mentre Tiziano abbandonò il lino perché la trama larga della canapa esaltava il gioco delle ombre, quindi Tintoretto cercò la risposta elastica del telero colpito da pennellate agoniche e danzanti. Gli artisti ingaggiavano con quelle strade d’acqua una gara feconda e animata dalla necessità del fallimento: sapevano bene che è incolmabile la distanza tra tecnica e immaginazione. Su questo crinale Ruskin eresse un elogio dell’imperfezione, un nodo etico ed estetico da cui derivò la sua appassionata difesa del non finito di Turner, assunto ad antidoto contro la disumanizzanteprecisione delle macchine.
Una critica all’alienazione che lo condusse a condannare il Rinascimento, inteso come antitesi del gotico, linguaggio nel quale Ruskin riconosceva l’autentico e felice spirito del popolo. Nella condanna del Cinquecento è lecito leggere una divergenza da Turner che, quando attendeva ad Approach to Venice(1840), poté trovare conforto ed esempio nella pittura a macchia dell’ultimo Tiziano. Incompreso da colleghi e pubblico, il sessantacinquenne Turner si era rifugiato a Venezia, tra le cui nebbie intravide il miraggio della morte. Risiedeva all’Hotel Europe e non è forse una coincidenza il fatto che in quello stesso albergo, nel 1900, scelse di alloggiare Marcel Proust. Il francese aveva lungamente rinviato quel viaggio tanto desiderato, ma all’indomani della scomparsa di Ruskin, sentì che doveva compiere quel pellegrinaggio. Proust, che aveva amato e tradotto The stones of Venice , rese tributo alle pietre veneziane facendole divenire la chiave del Tempo ritrovato . È la sensazione di calpestare di nuovo, nel cortile del palazzo dei Guermantes, le lastre disallineate del battistero di San Marco, che consegna allaRicerca la sua conclusione circolare: lamadeleine naufraga dolcemente in una tazza di tè per riemergere in laguna. L’idea del sublime, come scontro titanico tra individuo e infinito, lambisce Giacomo Leopardi, Turner, Ruskin, Kandinskij, Proust e si palesa nella febbre allucinatoria di Morte a Venezia (1912) o nella lapide di Santa Maria Formosa della Prima elegia duinese (1912). Il vago e l’indefinito, l’ostacolo e il dettaglio sono feritoie sul bello, che si lascia ammirare perché – scrive Rainer Maria Rilke – incurante disdegna di distruggerci.
L’importanza di Venice from the Lagoon risiede allora anche nell’assenza di una città, che può essere vissuta solo nel ricordo, nel particolare, nei margini o tentando di arginarla con l’idea di un fato avverso e di una fine incombente. Turner mette in scena un’attesa, o un addio, per dare immagine a quel che non si può vedere, se non in visione.
Non sappiamo se, durante quel suo ultimo viaggio a Venezia, Turner stesse arrivando o stesse lasciando la Serenissima, sappiamo che anche per suo tramite, attraversare quella laguna specchiante sarà come entrare in una dimensione parallela. È una piccola magia, alla quale non abbiamo ancora rinunciato: il treno per Venezia Santa Lucia parte dal binario 9 e 3/4.