
Sly & The Family Stone – Family Affair
17 Maggio 2025
Nota dell’autore
Dopo la pubblicazione dell’articolo “Monte dei Paschi: una storia senese da rileggere con lucidità”, ho ricevuto un commento da parte di un esperto del settore bancario che ritengo particolarmente utile alla discussione. Lascio spazio a questo contributo, che affronta con tono franco ma rispettoso alcuni passaggi chiave della vicenda MPS, ponendo l’accento sulle responsabilità gestionali e sulle debolezze, locali e nazionali, che hanno determinato il progressivo smantellamento del ruolo della banca a livello territoriale.
MPS: la banca che poteva cambiare il destino di un territorio, ma fu lasciata affondare
La storia recente del Monte dei Paschi di Siena rappresenta una delle più dolorose occasioni mancate della finanza pubblica e del rapporto tra territorio e istituzioni economiche. Poteva diventare un modello: una banca radicata ma innovativa, capace di essere strumento di sviluppo per l’economia locale e attore consapevole nel sistema nazionale. Ma tutto ciò avrebbe richiesto una governance indipendente, competente e realmente orientata al lungo periodo.
Questa condizione, nei fatti, non si è mai pienamente realizzata.
Se da un lato non sono mai mancati gli auspici per una gestione tecnica e professionale, dall’altro – sia a livello locale che centrale – si è lasciato spazio a dinamiche di autoreferenzialità, a logiche di appartenenza e a una gestione spesso inadeguata rispetto alla complessità delle sfide. La politica, nel senso più ampio del termine, ha occupato spazi che avrebbero dovuto essere riservati a competenze specifiche, alimentando un circuito che ha reso difficile qualsiasi tentativo di riforma profonda.
L’acquisizione di Antonveneta ha segnato il punto di svolta. Un’operazione estremamente onerosa, dai contorni controversi, condotta senza la dovuta valutazione dei rischi e degli impatti strutturali. Le responsabilità di chi ha proposto e favorito la cessione sono significative, così come lo sono quelle di chi ha guidato MPS in quella fase e ha accettato l’operazione senza adeguata capacità di analisi. Più in generale, ha pesato un’intera architettura decisionale che non disponeva degli strumenti necessari a fronteggiare una manovra di tale portata.
Le responsabilità, pur radicate anche nel contesto locale, si estendono a pieno titolo ai livelli centrali del sistema bancario e istituzionale: l’inerzia – quando non la complicità – di chi avrebbe potuto intervenire tempestivamente ha contribuito a consolidare un disastro che poteva essere almeno attenuato.
Sullo sfondo resta una realtà territoriale – quella senese – che non ha saputo difendere fino in fondo il proprio patrimonio più importante. Una realtà segnata da frammentazioni interne, da una conflittualità endemica e da una certa resistenza ad affidarsi a competenze esterne o a figure realmente autonome. Questo contesto ha indebolito la capacità di visione collettiva e ha reso più facile per altri – fuori da Siena – approfittarne.
La vicenda del Monte dei Paschi resta una pagina esemplare – e dolorosa – della storia economica italiana. Non riguarda solo Siena, né soltanto la finanza: parla del rapporto tra istituzioni, territorio e classe dirigente. È la dimostrazione di quanto possa essere fragile un sistema quando manca il coraggio di anteporre la competenza agli equilibri di potere e l’interesse collettivo alle logiche di appartenenza. Comprendere fino in fondo questa storia non serve solo a fare i conti con il passato, ma a ripensare il futuro su basi più solide e responsabili.