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Arte Protagonisti di «Spillovers: Notes on a Phenomenological Ecology» sono i materiali espulsi dal sistema produttivo, nonostante il loro valore intrinseco superi la semplice funzione d’uso. Irriconoscibili anzi no, vengono reintegrati in un nuovo ciclo vitale tappi di bottiglia, stuzzicadenti, cemento, carta vetrata
La materia marginale che si carica di valore estetico e si rigenera è al centro delle opere che l’artista sudafricano Chris Soal espone per la prima volta in Italia nella mostra Spillovers: Notes on a Phenomenological Ecology, al Corner Maxxi fino al 27 novembre 2025.
PROTAGONISTI dell’atto artistico sono i materiali espulsi dal sistema produttivo, nonostante il loro valore intrinseco superi la semplice funzione d’uso. Irriconoscibili anzi no, vengono reintegrati in un nuovo ciclo vitale tappi di bottiglia, stuzzicadenti, cemento, carta vetrata. Tracimano e diventano forme vive, corpi, cellule, fenomeni geologici, ectoplasmi. Dall’inorganico al biologico, dall’inerte al sensibile. Un lavoro che si compie nell’interazione fra l’artista, l’osservatore e il materiale stesso. Le opere si scoprono solo avvicinandosi: a distanza le superfici sembrano compatte, quasi mimetiche, come un camouflage percettivo che disorienta e affascina, mentre da vicino gli elementi poveri e quotidiani si rivelano.
IL TITOLO DELLA MOSTRA ricorda fatalmente il noto libro di David Quammen, Spillover. Come spiega all’Extraterrestre Chris Soal, la cui pratica scultorea ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali, «quella parola indica contagio ed eccesso, quel che accade quando qualcosa supera i propri limiti — un virus che attraversa una specie, un materiale che sfugge al controllo, un’idea che trapela oltre la sua cornice. Nel mio lavoro descrivo quel che accade quando le logiche industriali e organiche collassano l’una nell’altra. Il tappo della bottiglia si composta come una scaglia, lo stuzzicadenti come una pelliccia, la carta vetrata come un lichene, o una pelle. Oggetti che nascono dai sistemi umani di produzione e consumo, attraverso l’aggregazione iniziano a imitare i comportamenti della crescita biologica. Sì, c’è un salto – non letterale, ma fenomenologico – tra il minerale, il vegetale, l’animale». Porosi confini fra specie e sistemi.
RIVELA IL LEGAME con l’Africa, peraltro, la ricerca di Soal: l’impiego di materiali emarginati o espulsi, dei quali l’artista svela l’integrità e la carica generativa, racconta anche la dimensione universale della marginalità e dell’emancipazione, spazi di crisi al cui interno però si possono creare risposte e reazioni collettive. Una delle caratteristiche del lavoro di Soal è l’interazione con i siti dove le opere vengono esposte. In Sudafrica, ha voluto rispondere a texture peculiari, dal filo spinato alla polvere delle miniere, attingendo a materiali legati alle attività estrattive ma anche al ricordo della segregazione e alla povertà. Quanto al Maxxi, «ho sentito il bisogno di ammorbidire il duro cemento modernista dell’edificio, di introdurre materiali che trasmettano memoria e tattilità, per far sì che le forme si riversino nei margini architettonici anziché contrastarli. L’installazione è una conversazione tra materia e struttura, una coreografia tra l’ambiente umano e quello costruito».
L’ECOLOGIA PERCETTIVA, l’ecologia fenomenologica, secondo l’autore, possono aiutare la comunità umana a relazionarsi maggiormente con le altre comunità: «Inizia con i sensi: con la percezione, il tatto e la presenza, e si estende all’etica. Se rallentiamo abbastanza da percepire realmente i materiali, da notarne la vitalità e resistenza, iniziamo a dissolvere l’illusione di separazione tra umano e non umano. In questo senso, l’arte può diventare un laboratorio ecologico: un luogo in cui materia, luce e percezione interagiscono per ricordarci che siamo parte del mondo, non suoi osservatori. In un momento contrassegnato dalla crisi ecologica, questo cambiamento di percezione — dal dominio al dialogo – è davvero urgente. Se l’ecologia fenomenologica può insegnarci qualcosa, è che l’empatia inizia a livello di consapevolezza materiale: riconoscere che il legno, il metallo, la polvere sotto i nostri piedi non sono inerti, ma fanno parte dello stesso continuum della vita».
TRASFORMARE IN OPERE durevoli anche elementi che sono diventati scarto a causa di un uso effimero che contrasta con la loro durata potenziale e li avvilisce, ci aiuta poi a riflettere sulla realtà dei rifiuti usa e getta. Pletorica, inquinante, terra terra e nient’affatto artistica.





