
La macellerie Busso riapre con una nuova proprietà
5 Dicembre 2025
Un saggio breve di critica culturale
La lista dei migliori podcast del 2025 elaborata dal New Yorker non è semplicemente una rassegna di titoli ben fatti: è un indicatore di come il mondo dell’audio stia reagendo a un clima culturale segnato da polarizzazione, saturazione informativa e ritrazione dell’immaginazione pubblica. In altre parole: i podcast selezionati funzionano non perché sono “i migliori”, ma perché intercettano domande profonde di questo tempo, lavorando sul confine tra memoria, potere, visibilità e trauma.
Il caso più emblematico è “Fela Kuti: Fear No Man”, che non è soltanto un omaggio biografico, ma un atto politico. La vita e l’opera di Fela Kuti diventano il tramite per interrogare colonialismo, modernità africana, oppressione militare, spiritualità e corpo. L’audio qui non è un supporto, ma un linguaggio: ritmo, voce, registrazioni ambientali sostituiscono ciò che la scrittura, per sua natura, appiattirebbe. In un mondo di narrazioni manipolate, il suono ha il pregio di restituire complessità senza sovrastrutture.
Diverso, ma ugualmente rivelatore, è il ritratto di Jerry Springer. Non è il personaggio televisivo a essere al centro del podcast, ma il mondo che lo ha prodotto: un’America che ha trasformato la confessione pubblica in intrattenimento, e l’umiliazione in drammaturgia. Il podcast mostra come la cultura pop possa diventare un laboratorio politico, un dispositivo che anticipa derive, estetiche e morali, poi normalizzate dal discorso mainstream. Springer fu un sintomo, prima ancora che un fenomeno.
L’inchiesta “Spotlight: Snitch City” si colloca invece nel territorio della disillusione. Non cerca scandali da titolare, ma ascolta la voce di una comunità schiacciata da una polizia corrotta, rivelando una verità che raramente entra nel dibattito pubblico: negli Stati Uniti, la crisi della fiducia nelle istituzioni non deriva solo da motivi ideologici, ma da esperienze quotidiane di abuso e impunità. Qui il podcast opera come un contro-archivio, un luogo di documentazione che sottrae il racconto della realtà alla retorica ufficiale.
Ancora più radicale è “A Tiny Plot”, che interviene su un nodo che le nostre società continuano a evitare: la povertà come spazio politico. Raccontare un gruppo di senzatetto che prova a costruire una comunità autonoma non significa descrivere un’anomalia, ma mostrare un tentativo di autogoverno che la città non è in grado di garantire. L’audio fa ciò che spesso l’immagine non sa fare: ascolta la dignità senza trasformarla in spettacolo.
Un discorso simile vale per “Camp Swamp Road”, che affronta il tema della violenza armata non attraverso la cronaca nera, ma mettendo a nudo il cortocircuito fra legislazione, morale e percezione della minaccia. Qui emerge con chiarezza uno dei tratti distintivi del podcasting contemporaneo: la capacità di interrogare le categorie con cui interpretiamo la giustizia — autodifesa, colpa, testimonianza — mostrando quanto siano fragili e quanto dipendano dal contesto narrativo che le sostiene.
Sul piano storico e culturale, il BBC History Podcast e Articles of Interest: Gear ricordano che la storia non è un repertorio, ma un metodo: la storia del capitalismo o l’origine di un’uniforme militare diventano strumenti per capire il presente, con una chiarezza che troppe volte manca nel giornalismo. Quest’anno, più che in passato, il podcast storico è apparso come un antidoto alla superficialità, perché costringe a ripercorrere la genealogia delle forme che oggi diamo per scontate.
E poi c’è Heavyweight, che continua a incarnare un’altra funzione del podcast contemporaneo: la cura. In un tempo in cui dominano cinismo e iperproduttività, riascoltare traumi e rimpianti diventa un gesto politico. Restituisce valore a ciò che la cultura della performance elimina: l’incertezza, l’imbarazzo, la vulnerabilità.
Gli ultimi titoli, Sea of Lies, The Audio Flux Podcast e Signal Hill, rappresentano la frontiera sperimentale. Qui il podcast torna ad essere laboratorio artistico, dove narrazione e suono scivolano l’una nell’altro, senza forma predefinita. In un panorama sempre più dominato dal prodotto “ottimizzato”, queste opere ricordano che la forza dell’audio è la sua libertà: può essere documento, musica, confessione, racconto, esperimento.
La selezione del New Yorker, letta nel suo insieme, offre un messaggio chiaro: il podcast è oggi uno degli ultimi spazi culturali in cui è possibile ascoltare senza essere distratti, interrogare senza dover sintetizzare tutto in dieci secondi, assorbire complessità senza fuggirne. Il 2025 non consegna semplicemente dei buoni podcast; consegna un’idea diversa di pubblico, più paziente, più curioso, più disposto a lasciarsi cambiare da ciò che ascolta.





