
Europa di fronte allo sguardo americano: autonomia, identità e responsabilità strategica
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Meloni e “We want Europe to remain European”: il rischio di accettare una cornice sbagliata
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La frase comparsa nella strategia di sicurezza dell’amministrazione Trump — “We want Europe to remain European” — non è un invito innocuo alla difesa dell’identità europea. È una dichiarazione politica precisa, che segna una svolta nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa. Per la prima volta dagli anni della Guerra fredda, Washington non parla in nome dell’alleanza, ma cerca apertamente di orientare la direzione culturale e politica del continente.
Il messaggio nasce dal cuore dell’ideologia trumpiana, che vede l’Europa come un continente indebolito da immigrazione, multiculturalismo e istituzioni sovranazionali. Dietro la retorica identitaria si intravede l’eco di teorie estreme come la “sostituzione etnica”: l’idea che l’Occidente rischi la “cancellazione” se non recupera un’identità omogenea. Questa narrativa, nel documento americano, diventa addirittura una strategia: sostenere partiti nazionalisti europei per “coltivare resistenza” contro i governi considerati troppo aperti e liberali.
Negli Stati Uniti la frase divide profondamente. L’ala trumpiana la vede come parte di un nuovo “risveglio occidentale”, fondato sulla difesa identitaria più che sui valori democratici. Molti analisti, invece, temono un disastro geopolitico: indebolire l’Europa significa rafforzare Russia e Cina, minando l’intero sistema occidentale costruito dal 1945.
In Europa, la reazione è altrettanto fratturata. I movimenti nazionalisti leggono la frase come una legittimazione esterna, un lasciapassare per politiche più dure su migrazione e identità. I governi tradizionali vedono invece un’ingerenza pericolosa: gli Stati Uniti non si limitano più a dialogare, ma scelgono di intervenire nelle dinamiche politiche interne al continente. Le istituzioni europee colgono un attacco diretto al progetto comunitario: l’idea che “essere europei” significhi appartenere a un’origine culturale o etnica è incompatibile con la cittadinanza plurale che l’UE ha costruito.
La frase, insomma, non descrive l’Europa: cerca di ridefinirla.
Il vero nodo non è cosa vogliono gli Stati Uniti, ma cosa vuole l’Europa.
Vuole accettare un’idea identitaria di sé, fondata sulla paura? O vuole costruire un futuro aperto, autonomo e coerente con la sua storia più recente?
Oggi la sfida è rispondere a quella provocazione non difendendo un passato immaginario, ma affermando il diritto dell’Europa a definire da sé il proprio destino.





