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L’ok di Stefano Bonaccini alla linea di Elly Schlein è un passaggio politicamente rilevante, perché chiude – almeno formalmente – una fase di competizione interna che ha segnato il Partito democratico dall’ultimo congresso in poi. Il presidente del Pd riconosce la leadership della segretaria e ne legittima il percorso, offrendo un segnale di unità verso l’esterno. Ma proprio questo passaggio apre una fase più insidiosa: quella della palude.
Finché il conflitto era esplicito, le posizioni erano chiare. Schlein rappresentava la discontinuità, Bonaccini una tradizione di governo riformista e territoriale. Ora che il confronto si ricompone in una lealtà dichiarata, il rischio è che il Pd resti sospeso, senza una direzione davvero riconoscibile. L’unità, se non è accompagnata da scelte nette, può trasformarsi rapidamente in immobilismo.
Il nodo non è personale, ma politico. La segreteria Schlein ha costruito consenso su parole d’ordine forti – lavoro povero, diritti, sanità pubblica, ambientalismo – ma fatica a tradurle in una proposta complessiva di governo. Bonaccini, dal canto suo, porta in dote l’esperienza amministrativa e il profilo istituzionale, ma proprio questo può rafforzare una linea di prudenza che frena ogni reale cambio di passo.
La “palude” nasce qui: nell’equilibrio permanente tra anime diverse che si neutralizzano a vicenda. Se il Pd si limita a tenere insieme tutto, senza decidere cosa lasciare indietro, rischia di non parlare più a nessuno in modo convincente. Né al suo elettorato tradizionale, né a chi si è allontanato negli ultimi anni, né ai mondi del lavoro e delle periferie che Schlein vorrebbe riconquistare.
Per evitare questo esito, la segretaria ha ora una responsabilità maggiore. L’ok di Bonaccini non è un punto di arrivo, ma un credito politico da spendere. Serve una scelta chiara su che tipo di partito vuole essere il Pd: forza di opposizione radicale ma credibile, o soggetto di governo che accetta compromessi già in partenza. Tenere insieme le due cose, senza una gerarchia, significa restare fermi.
Il tempo della mediazione permanente è finito. Se Schlein vuole davvero cambiare il Pd, deve usare l’unità conquistata per rompere gli equilibri che l’hanno resa necessaria. Altrimenti, più che una sintesi, prevarrà l’acqua ferma. E nella palude, la politica affonda lentamente, senza nemmeno fare rumore.





