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Era un giorno del lontano 2009 e a Firenze, ma non solo, tanti erano in attesa di vedere come sarebbe andata a finire la sfida di Matteo Renzi alle primarie del Pd per il candidato sindaco. In quel giorno apparve una foto sulle pagine del Corriere Fiorentino con in primo piano, sul limitare dell’ingresso di Vie Nuove, una figura storica di militante prima del Pci e in quel momento del Pd: teneva sul petto un cartello con scritto «Vota Renzi».Per chi, come è il caso di chi scrive, aveva conoscenza diretta della storia della sinistra fiorentina e in particolare del Pci, passata la sorpresa, fu il segnale che era diventato realistico scommettere sulla vittoria di Renzi che poi avvenne, nello stupore generale. Mi sono venuti in mente quei tempi leggendo il servizio di Mario Lancisi di ieri su queste colonne riguardo alle intenzioni di voto degli attuali frequentatori di Vie Nuove. Una rappresentazione che sembra dare ragione a Giorgia Meloni: non esistono più roccaforti per la sinistra, nemmeno in quelle situazioni urbane che, a detta per esempio di Dario Nardella, dovrebbero assicurare le possibilità di riscossa del Pd rispetto ai sondaggi. In ogni modo, il fatto che a Vie Nuove il cronista non abbia trovato uno che dicesse di votare Pd e che in un posto che era il simbolo fiorentino della sinistra chi ha dichiarato le sue intenzione abbia detto FdI o M5s la dice lunga sugli orientamenti politici di una società talmente liquida che neanche Zygmunt Bauman l’avrebbe potuto pensare meno di 15 anni fa.
Tutto questo dovrebbe far pensare Enrico Letta e il Pd sul modo in cui hanno impostato una campagna elettorale che appare ai più tutta centrata sulla questione di un improbabile rigurgito fascista, tale da mettere in pericolo la democrazia. Mancano pochi giorni al 25 settembre e la sera tardi sapremo davvero come e dove sono andati i voti degli italiani e potremo poi analizzare compiutamente i significati che ne andranno tratti, ma qualcosa è già chiaro anche per quanto riguarda la destra, nelle previsioni dominata da FdI, o meglio da Giorgia Meloni. È vero, come abbiamo ricordato in precedenza, che non esistono più roccaforti inespugnabili della sinistra, non solo in Toscana. Le ultime amministrative hanno confermato tale dato nella nostra regione, basta pensare che su dieci capoluoghi di provincia, la destra ne guida sette. Non esistono più le regioni rosse, ma solo quelle in cui in qualche modo la lunga e tormentata storia della sinistra italiana ha lasciato tracce meno fragili, anche trovandone di nuove grazie a una esperienza di governo che, ovviamente, non è stata solo mantenimento di potere, anche se questo è di sicuro un elemento importante. Tutto vero, anche l’affermazione che una continuità di governo, senza interruzioni, alla fine crea sempre maggiori condizioni di una gestione del potere fine a se stesso. Si può dire quanto sopra in particolare della Toscana, ma ci sono contraddizioni evidenti nel discorso della Meloni, soprattutto quando vede vicino il tempo di un’alternanza per quello che riguarda Firenze. Può darsi che l’idea che le città siano il baluardo del Pd si riveli un’altra illusione: Vie Nuove starebbe lì a dimostrarlo, ma forse non è tutto così semplice. Il Pd toscano e fiorentino, considerando i suoi progenitori, ha coinvolto strati sociali diversi, ha esercitato un’egemonia culturale assai rilevante e su questo ha certamente costruito un sistema di governo che col passare del tempo si è spesso ristretto a sistema di potere. Si tratta però di un insieme di fattori che non possono essere buttati all’aria con facilità: si fondano su valori consolidati che ancora qualcuno, cioè molti, ritengono indispensabili. La destra di FdI deve fare strada perché tali valori non siano ostacoli che ne possano fermare la competitività, ma c’è un altro fatto determinante che può confortare Nardella e le sue aspettative sulla tenuta dei Democratici in città come Firenze.
Le stesse vicende elettorali degli ultimi tempi hanno dimostrato senza ombra di dubbio quanto conti per gli avversari del centrosinistra in Toscana avere una classe dirigente che gli elettori possano apprezzare nel tempo necessario: il caso di Pistoia è emblematico. Per essere chiari: il tipo di classe di cui ha bisogno la Meloni perché le fortezze (forse più debolezze) della sinistra cadano appare a chiazze qua e là, ma può sempre rischiare la fine di quella che ha confinato la Lega a un ruolo sempre perdente sul piano regionale. Tanto meno si vede una classe politica di destra all’altezza per quanto riguarda Firenze: forse è su questo che l’attuale inquilino di Palazzo Vecchio ripone le speranze di poter suonare il suo violino, perlomeno per il risultato locale fra due settimane. Il voto del 25 settembre potrà fare chiarezza su tante questioni rispetto al presente e al futuro dell’Italia e della Toscana, oppure non ne farà per niente: staremo a vedere. Comunque, intanto alcune cose le sappiamo: non ci sono più roccaforti, a Vie Nuove votano Giuseppe Conte, Nardella ha detto che non avrebbe voluto Giorgia Meloni nel palazzo dedicato a Mandela, ma lei ne ha già le chiavi… «Grande è la confusione sotto il cielo e (Mao non ce ne voglia) la situazione non è eccellente per nessuno».