«Noi, mamme di quattro figli, viviamo nel timore di diventare genitori fantasma»
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15 Novembre 2023Il racconto
di Lorenzo Cremonesi
Le voci dalla Striscia: a pagare il prezzo sono bambini e malati
GERUSALEMME «Dall’inizio dell’attacco di terra israeliano, noi civili a Gaza non abbiamo più visto i guerriglieri di Hamas. Sono nascosti, combattono e poi si eclissano. Non ne incontri più uno nelle strade, neppure di notte. Ed è questo uno dei motivi per cui mi fanno sorridere le affermazioni israeliane secondo le quali Hamas starebbe cercando tutt’ora di bloccare la fuga della gente da nord a sud. Inizialmente avevano consigliato di non farlo, ma era solo un suggerimento che io, tra l’altro, condivido: Hamas non ha posti di blocco, non impone controlli, semplicemente non c’è. Lo so perché lavoro sul territorio. E questa assenza ha visto negli ultimi tempi crescere un certo malcontento. Tanti miei amici cominciano a chiedere se ne è valsa davvero la pena. È vero che l’attacco del 7 ottobre ha riportato la questione palestinese al centro della politica in Medio Oriente, però adesso a pagare il prezzo della vendetta militare israeliana è la gente comune, i bambini, i malati negli ospedali».
Ieri siamo riusciti a riprendere contatto con Fadi Abu Shammala, direttore dei centri culturali di Gaza, una vecchia conoscenza con cui avevamo già parlato un paio di settimane fa. Con la moglie e i tre figli subito dopo l’inizio della guerra avevano lasciato il loro appartamento nei quartieri settentrionali di Gaza City per trasferirsi in quello paterno a Khan Younis, nel centro della Striscia. Ieri lui era a Rafah e stava cercando di raggiungere l’Egitto, il suo cellulare si era rimesso a funzionare.
Senza ciboCosì ci ha raccontato dell’ospedale Nasser di Khan Younis, dove lavora suo fratello. «Tutti gli ospedali sono in allarme nero. Al Nasser si sono rifugiati oltre 20.000 sfollati, oltre ai pazienti che sono a rischio epidemie e infezioni, crescono le malattie della pelle per la mancanza di igiene. C’è ancora elettricità, non è al collasso totale come lo Shifa di Gaza centro. Ma da almeno 10 giorni manca il cibo. Non si trovano neppure le scatolette, dipendiamo dalla poca verdura che i contadini riescono a raccogliere. Ma il problema maggiore resta il sovraffollamento. A Khan Younis e nei campi profughi attorno vivevano circa 450.000 persone, adesso se ne sono aggiunte oltre 900.000. Troppe, nessuno sa come fare. Chi può sta da amici e parenti, ma la grande maggioranza semplicemente si accampa per la strada. Si scavano toilette improvvisate, semplici buchi nella terra. Ma nessuno lava, c’è immondizia ovunque, l’olezzo è insopportabile, ci sono insetti neri enormi che non avevo mai visto. I medici continuano a parlare del rischio colera, che adesso diventa più alto con le prime piogge».
Fadi parla a lungo dell’economia della sopravvivenza. I costi sono triplicati, c’è il mercato nero dell’acqua. In un primo tempo sembrava che la gente potesse andare a lavarsi nel mare. Ma lui nega decisamente: «Gli israeliani fanno raid continui sulle spiagge, sono deserte, ed è un peccato perché potrebbero offrire qualche forma di rifugio temporaneo». Uno dei punti più pericolosi è il passaggio di Netzarim, lungo la piccola depressione di Wadi Azza, che divide in due la Striscia e dove gli israeliani spingono le masse che scappano verso sud. «I soldati sono a un centinaio di metri dal posto dove hanno piazzato le loro telecamere, vogliono filtrare gli sfollati per tenere la guerriglia isolata nella parte settentrionale. Ogni tanto gridano col megafono a qualcuno di fermarsi e andare con le mani in alto dalle loro pattuglie. Come fosse una selezione di massa: quasi tutti i fermati non tornano più. Abbiamo già migliaia di desaparecidos», spiega.
Il prezzo dell’acquaLa carenza d’acqua resta gravissima. Manca l’energia per fare bollire quella sporca e cresce il mercato nero persino di quella non filtrata. Oggi si pagano 60 shekels (14,50 euro, ndr) per 1.000 litri, prima se ne pagavano 40 per 5.000. I poveri di ieri sono i ricchi di oggi e viceversa. «Chi aveva una Mercedes nuova non se ne fa nulla, non c’è benzina. I contadini con un asino e un carretto invece fanno affari d’oro, sono diventati i nuovi taxi popolari, richiestissimi», dice. Quanto alla questione delicata del grado di popolarità di Hamas, lui ripete con più forza ciò che solo pochi giorni fa pareva un fenomeno circoscritto: «Con il crescere delle vittime e il protrarsi delle sofferenze, la gente inizia a protestare. Pochi giorni fa ho visto un infermiere dell’ospedale Shifah accusare apertamente Hamas di non avere tenuto conto delle conseguenze del suo blitz il 7 ottobre. Ho visto che due con la barba poi l’hanno seguito, non so cosa sia successo. Ho visto un anziano in Salahaddin street gridare: “Dite a Ismail Haniyeh che sta nel suo esilio dorato nel Qatar e altri capi di Hamas che io sono Abu Hamza del campo profughi di Shati e li accuso di essere collaborazionisti degli israeliani!”. Solo pochi giorni fa una cosa del genere sarebbe stata impensabile. Però questi malumori in genere restano segreti».