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26 Luglio 2022Se Spielberg, Lucas, Scorsese, Bogdanovich, De Palma, Milius sono i nomi più comunemente associati alla Nuova Hollywood, Bob Rafelson, scomparso domenica all’età di ottantanove anni, ad Aspen, dove viveva da tempo, è una figura altrettanto emblematica di quell’età d’oro del cinema americano. Se non uno di coloro che ne hanno resa possibile l’esistenza.
LA STESSA vocazione solitaria, anti-establishment, che caratterizza l’eroe alla Kerouac del suo film più famoso, Cinque pezzi facili, una promessa della musica classica che molla tutto e va a lavorare in un pozzo di petrolio, segna fin dall’inizio la sua formazione, che rompe con la confortevole infanzia borghese nell’Upper West Side di New York (suo padre aveva una manifattura di cappelli; suo zio Samson firmò per Lubitsch le sceneggiature di Mancia competente e Scrivimi fermo posta) quando, da ragazzo, Rafelson lascia la East Coast per andare a cercare fortuna, prima a Ovest, in un rodeo dell’Arizona, e poi a Sud, in un gruppo jazz di Acapulco.
Tornato negli Stati uniti dal Messico, si iscrive ai corsi di filosofia del Dartmouth College e, una volta laureato, venne chiamato a servire nell’esercito, in Giappone, dove lavora anche come consulente della Shochiku. Tra i suoi amori cinematografici ha sempre citato Ozu, Bergman e Ford. Ma la libertà del suo cinema, il gusto per la ripresa lunga che accompagna gli attori lavorando sulla loro spontaneità, riflettono un’affinità naturale con quella dei coetanei della Nouvelle Vague francese. Al contrario della maggioranza dei registi della Nuova Hollywood, Rafelson non si integrerà mai realmente nel sistema produttivo degli studios.
TRA IL 1968 e il 2002, ha infatti diretto solo una decina di film, i migliori dei quali sono suoi anche di copione. Ma al suo percorso di regista/sceneggiatore, va associato quello altrettanto importante di produttore. All’inizio era la televisione, prima a New York e poi a Los Angeles, dove si trasferisce nel 1962. Fondamentale, poco dopo, alla Columbia, l’incontro con Bert Schneider, figlio di un dirigente dello studio e, come Rafelson, cresciuto in una famiglia intellettuale di New York. La loro prima joint venture è la creazione di una serie tv con protagonista un gruppo musicale inventato, i Monkees, ispirato dalla beatlemania.
La serie andò in onda solo due anni, tra il 1966 e il ’68, ma i Monkees continuarono a vendere dischi a far concerti anche dopo. Da quel gruppo fittizio nacque anche il primo film di Rafelson regista, Sogni perduti, una satira sui media dell’epoca che incorpora numerosi elementi della controcultura, co-sceneggiata con quello che sarebbe diventato uno dei collaboratori principali della sua opera, Jack Nicholson, allora alle prime armi nella factory di Roger Corman.
Il film fu un totale fallimento di botteghino, ma dal successo dei Monkees la compagnia di Rafelson e Schneider, battezzata Bbs, trasse il budget per finanziare Easy Rider, il cui successo completamente inaspettato cambiò la storia di Hollywood. Forte di un contratto per sei film con la Columbia che garantiva alla compagnia il final cut e il 50% dei profitti, diventata il simbolo della svolta generazionale che stava rivoluzionando l’industria del cinema (oltre che un gettonatissimo salotto della sinistra radical chic losangelina dell’epoca, a cui facevano riferimento anche le Black Panthers), la Bbs finanziò Cinque pezzi facili. Si tratta di un film personalissimo per Rafelson, sotto più aspetti e che, oltre a cementare il suo rapporto con Nicholson (qui
quasi un alter ego – avrebbero fatto insieme sei film) gettò le basi per collaborazioni di lunga data con Karen Black e il direttore della fotografia Laszlo Kovac, i cui bruni profondi, il gusto per figure in silhouette e i morbidi movimenti di macchina diventarono una cifra stilistica del cinema di Rafelson.
LA BBS è anche dietro al film successivo del regista, Il re dei giardini di Marvin (1972), con Jack Nicholson e Bruce Dern, sullo sfondo di Atlantic City. Ma, insieme a Easy Rider e a Cinque pezzi facili, il film più importante della Bbs è L’ultimo spettacolo, scritto e diretto da un altro fuoriuscito della factory cormaniana, Peter Bogdanovich. È del 1974 l’oscar per il miglior documentario, Heart and Minds. Rafelson avrebbe seguito la dissoluzione della Bbs con film che toccano diversi generi, come il remake e di Il postino suona sempre due volte, La vedova nera e Le montagne della luna, sull’esploratore Richard Burton. Il suo ultimo film, nel 2002, è stato No Good Deed, tratto da un racconto di Dashiell Hammett. Non accreditato, Rafelson è stato anche uno dei produttori di La Maman et la Putain di Jean Eustache.