Padre Alberto Maggi
Domenico Agasso
Città del Vaticano
«Le aperture del Papa per le persone transgender e omosessuali rappresentano un passo avanti enorme verso una Chiesa in cui c’è posto davvero per tutti. Francesco lo avrebbe compiuto anche prima, ma ha dovuto affrontare resistenze durissime della galassia tradizionalista. Servirebbe anche una richiesta di perdono da parte delle Sacre Stanze per tutte le sofferenze che, con le loro chiusure ideologiche, hanno provocato a migliaia di persone». Lo scandisce padre Alberto Maggi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria. Teologo, 78 anni, a Montefano, in provincia di Macerata, dal 1995 dirige il Centro Studi biblici Giovanni Vannucci, dove la prima domenica di ogni mese organizza incontri sul Vangelo, a cui partecipano centinaia di persone che arrivano da tutta Italia e dall’estero. In particolare, «ho sempre accolto chi si sente escluso e ferito dalla Chiesa. Tantissime persone omosessuali e transgender. Per questo per anni ci hanno accusato di essere eretici».
Adesso le persone transgender possono ricevere il battesimo. E fare da padrino, madrina e testimone di nozze, e questo vale anche per uomini gay e donne lesbiche. Sì al battesimo dei bambini delle coppie omosessuali anche se nati con gestazione per altri o fecondazione assistita. Che cosa ne pensa?
«Era ora. Sono contentissimo per questi enormi e necessari passi in avanti compiuti grazie a papa Francesco. Non è una questione di dottrina, gioisco per il cambio di mentalità che sta diffondendo il Pontefice. La direzione è quella di una Chiesa aperta concretamente a tutti. Solo dispiace che sia arrivata in ritardo, arrancando, non è stata al passo con i tempi della società. Il Pontefice avrebbe accelerato anche prima ma ha dovuto affrontare opposizioni forti dei circoli tradizionalisti. E adesso gli animi di chi è ostile al pontificato si infiammeranno ancora di più. Tra l’altro, queste aperture dovrebbero essere accompagnate da una richiesta di perdono della Chiesa».
Per che cosa?
«Per avere inflitto sofferenze terribili a migliaia di persone, che hanno avuto la vita distrutta perché si sono sentite contro natura, umiliate, nel peccato, rinunciando per questo a una vita affettiva. Perché arrivavano in parrocchia e si sentivano dire che erano sbagliate. E non reggevano al giudizio: quante esistenze rovinate così».
Lei come si comporta con loro?
«Quando parlo con coppie omosessuali e vedo che si vogliono bene e io dico loro che la persona che hanno incontrato è un regalo del Signore: “affinché tu sia felice”. E queste persone si illuminano di gioia. Quando scoprono, proprio dalle pagine del Vangelo, che sono creature amate da Dio così come sono, e che non sono sbagliate, rinascono. Questa accoglienza sarà pure “eretica”, ma restituisce la vita alle persone. Dopo anni in cui uomini in tonaca hanno cercato di reprimere la loro affettività. Spesso questa è stata più forte, così hanno cercato un compagno o una compagna, ma sempre vivendo con un senso di colpa che in tanti casi ha devastato la relazione. Così hanno dovuto soffocare i propri sentimenti, e sono finiti dallo psicologo o dallo psichiatra».
La benedizione delle coppie gay non è permessa…
«Per me non è giusto che non si possa “dire bene” a una coppia omosessuale che si vuole bene e desidera vivere la fede cristiana. Benedire non significa sacramento del matrimonio. Il mio parere è che questa benedizione si può dare; adesso tocca offrirla clandestinamente».
Ruoli di responsabilità ai laici, diaconato e sacerdozio femminile: sono altri temi su cui riflettere?
«La forza vitale della Chiesa sta nella capacità di avere sempre nuove risposte ai nuovi bisogni che continuamente emergono. Il mondo cambia, e sovente in meglio. Quando la Chiesa strumentalizza vecchi “anatemi” la gente non la ascolta. Basta con i “no, no, no” basati sui pregiudizi».
E il celibato dei preti?
«In quasi tutti i continenti ci sono sempre meno sacerdoti e parroci, e sono sempre più anziani. L’obbligo del celibato fa acqua da tutte le parti. Non è un dogma, è inutile insistere. Vedo tanti preti anziani soli nelle case di riposo del clero. È una tristezza… Se avessero una moglie quanto starebbero meglio. E quanto sarebbero stati più sereni nel loro ministero sacerdotale».