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3 Gennaio 2025di Gian Antonio Stella
Dalla gaffe del cartello alle critiche di Buttafuoco: rischio soldi a pioggia, meglio commissariare
Due strafalcioni in quattro righe. Oltre sette anni dopo (sette anni!) la prima candidatura di Agrigento a Capitale italiana della cultura, presentata nel 2017, i girgentini ridono amari: manco il grande cartello stradale su quella pomposamente chiamata «la strada degli scrittori» dedicata a «I luoghi di Luigi Pirandello» sono riusciti a confezionare in tempo. Alla prima riga c’era l’indicazione «Valle “di” Templi», alla quarta «Casa Pirandello “contrata” Caos». Tanto che i promotori si son dovuti precipitare a correggere: «Anas ha già provveduto alla sua rimozione. Il segnale sarà sostituito». Grazie.
Ma era solo l’ultimo d’una serie di passi falsi, ritardi, rinvii, polemiche, incertezze, tali da spingere perfino il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, promosso in quel ruolo di spicco («C’è da credere che riuscirà nell’impegno», scommise Giuliano Ferrara) dalla stessa maggioranza di centrodestra che governa sia a Roma sia a Palermo, a invocare il commissariamento della città per salvare quello che doveva essere un «appuntamento con la storia». Testuale: «Avevo un’idea ben precisa, che fosse l’occasione delle occasioni. Credo che ci siano tutti i presupposti affinché da Roma, quindi dal comando centrale, si abbia la consapevolezza di impugnare il tutto, anche a costo di essere sgarbati nei modi, perché non si può perdere questa occasione». Avanti così, infatti, secondo lo scrittore che guida la prestigiosa istituzione veneziana, la scadenza culturale e turistica rischia d’essere per la Sicilia, «parliamoci chiaro, la formula aritmetica che porta “piccioli”». Cioè la solita distribuzione di quattrini a pioggia. Senza una vera svolta, un vero progetto, una vera programmazione del futuro…
Un’accusa non nuova a una certa gestione del potere e delle clientele nei dintorni dell’autonomia speciale siciliana e di quel palazzo dei Normanni ribattezzato dal giornalista Saverio Lodato come il Palazzo della Cuccagna. Ma stavolta più ustionante proprio perché mossa non dalla sinistra, dai grillini, dai soliti bastian contrari, ma da una voce critica, siciliana, della stessa destra. La stessa voce che dieci anni fa, con l’isola governata da Rosario Crocetta, scrisse per Bompiani Buttanissima Sicilia. Dall’autonomia a Crocetta , tutta una rovina. Un pamphlet seguito nel 2017, per La nave di Teseo, da Strabuttanissima Sicilia. Quale altra rovina dopo Crocetta? Dove le critiche di Buttafuoco alla gestione sventurata della sua terra amatissima non si limitavano alle responsabilità della sinistra. Anzi. Basti rileggere il passaggio sulla vittoria dei grillini siculi: «Il M5S che fa festa oggi a Palermo dovrebbe chiedere il consenso agli elettori su questa formula semplice: fare tabula rasa, e poi ricominciare. Entrare a Palazzo d’Orleans, dunque — e lo stesso giorno della proclamazione — chiedere al tribunale di procedere col fallimento dell’ente regione. Rompere il banco, insomma. Evitare di ripetere l’errore, perché di questo si tratta, fatto a Roma. Si chiama due diligence ed è l’unica strada da percorrere in una landa dove — ormai è dottrina — il successore riesce sempre a far rimpiangere il predecessore». Testuale.
Certo, le cronache di oggi non aiutano restituire ottimismo. Dice tutto l’inchiesta firmata su linkiesta.it da Giacomo Di Girolamo, il giornalista che per anni sfidò Matteo Messina Denaro quand’era ai vertici della mafia, sulla montagna di soldi appena distribuiti dalla Regione in mille coriandoli: «Il compromesso è stato questo: un milione di euro a deputato per avere l’ok alla manovra. E ancora una volta, la legge finanziaria della Regione più povera d’Europa (secondo Eurostat nel 2024 la Sicilia ha indossato la maglia nera per il numero di persone a rischio povertà: il 38% della popolazione) è servita per dare mance. I deputati si sono spartiti 80 milioni di euro per distribuire soldi a enti e Comuni dei vari collegi elettorali senza alcun criterio, senza alcuna trasparenza». Sagre, sagre, sagre… Con la partecipazione, va detto, delle stesse sinistre. Un solo deputato avrebbe rifiutato il suo milione per i clientes. L’ex Iena Ismaele La Vardera. Uno.
Fatto sta che, tre giorni dopo i fuochi artificiali che hanno sancito l’arrivo dell’agognato 2025 e quattordici prima dell’attesa visita di Sergio Mattarella, ad Agrigento dove secondo le opposizioni «non è stata sistemata una strada, uno svincolo, un marciapiede, una fontana», non c’è uno straccio di programma per dare concretezza a questa benedetta annata da Capitale culturale lanciata (si fa per dire) con lo slogan «Lasciati abbracciare dalla cultura». Non uno. Da altre parti, e più ancora in altri Paesi, queste cose si programmano anni e anni prima. Qui no. Quando i promotori si sono ritrovati agli sgoccioli di dicembre hanno annunciato: ne parleremo a Roma il 14 gennaio alla presentazione ufficiale col ministro Alessandro Giuli. Auguri.
Non bastasse, il giornale online buttanissima.it di Giuseppe Sottile, dopo aver irriso al concerto di Natale affidato ai tre ragazzi de il Volo, registrato ad agosto al Tempio di Giunone con un caldo afoso e gli spettatori col cappotto perché sembrasse d’essere in inverno, ha chiesto conto al governatore forzista Renato Schifani dei soldi dati a Mediaset per la serata natalizia girgentina e il Capodanno in musica a Catania: «La Regione siciliana ha dato prova ancora una volta di essere una provincia dell’impero. Dell’impero berlusconiano». Altre polemiche in vista.
Per non dire di quelle destinate a riaccendersi sul nuovo Telamone presentato l’anno scorso e criticatissimo da larga parte degli archeologi, da Salvatore Settis ad Adriano La Regina: come ha potuto la «Capitale italiana della cultura» spendere mezzo milione di euro per costruire di sana pianta una specie di grande Telamone-Frankenstein mettendo insieme oltre novanta pezzi di otto telamoni diversi violando tutte le regole del buon restauro? Orrore.
È questo il modo di tutelare il proprio patrimonio culturale?