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7 Settembre 2022Alla ripartenza la crisi energetica presenta il conto: cassa integrazione e imprese ferme
I casi di Whirpool, Ivv, Polynt, Tessitura Gavazzi
Matteo Lignelli ,Giorgio Bernardini
Materie prime e boom costi dell’energia, in Toscana cominciano a fermarsi le macchine. La sede di Siena della Whirlpool, a breve, chiuderà i battenti per una settimana e metterà in cassa integrazione i suoi 300 dipendenti, come comunicato ieri dai vertici aziendali alle Rsu. Nell’incontro è stata anche riveduta al ribasso la stima della produzione futura, da 430 mila pezzi a 400 mila: nel 2021 erano oltre 500 mila. La settimana passata anche la Regione aveva acceso un faro sulla vicenda, con la conferma di contatti in essere con il ministero dello Sviluppo economico e rappresentanti sindacali. L’azienda aveva già chiuso nei primi mesi dell’anno per la difficoltà a reperire container per trasportare verso Stati Uniti e Russia i prodotti finiti.
Stop anche alla Polynt di San Giovanni Valdarno, che ieri sera ha concordato con i sindacati due mesi — ottobre e novembre — di cassa integrazione per 65 dipendenti, di cui una quindicina nello stabilimento toscano (che occupa in tutto oltre 200 persone). Gli addetti che rimarranno a casa sono quelli alla linea dell’anidride trimellitica, settore che secondo l’azienda è andato fuori mercato per il caro-energia e che serve per vernici in polvere per gli elettrodomestici e isolanti per i cavi elettrici. Sempre a San Giovanni Valdarno c’è la data della seconda chiusura annunciata dell’Industria Vetraria Valdarnese, che già aveva fermato la produzione dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e ora torna a spegnere i forni dal 10 settembre almeno fino a Natale.
Tutto il fronte dei distretti energivori, quelli del centro-nord della Toscana — sono definite energivore in questa fascia geografica 2.343 imprese con 22.314 addetti, secondo i dati di Confindustria Toscana Nord — è in allarme da mesi. Ma al rientro dalle ferie di agosto i segnali sono diventati timori: sono diverse le proprietà delle industrie del tessile e del cartario che in queste ore stanno discutendo con lavoratori e sindacalisti l’opportunità di tenere le fabbriche chiuse per alcuni dei giorni della settimana. Una sorta di razionamento del lavoro che con gli ammortizzatori sociali della cassa integrazione a rotazione potrebbe andare incontro ad un doppio fine: non utilizzare tanta energia per quanta ce ne sarebbe bisogno (quindi non andare in perdita) e rimanere sul mercato, che altrimenti migrerebbe verso aziende la cui produzione è ancora in piedi. Rifinizioni storiche del distretto come la Nuove Fibre guidata da Dalila Mazzi o la Jersey Mode stanno valutando tutte le strade da percorrere nelle prossime settimane per evitare scenari più foschi.
A Pistoia sono diverse le aziende in difficoltà che, secondo quanto si apprende da ambienti sindacali, potrebbero decidere chiusure a singhiozzo o provvisorie. «Ma per adesso non sono pervenute richieste ufficiali di cassa integrazione». Chi ha già deciso è la Tessitura Gavazzi, che si trova in piena zona industriale: metterà in stand by la produzione. «Non solo le bollette sono triplicate rispetto allo scorso anno, ma la nostra è pure raddoppiata tra giugno e luglio» fa sapere Daniela Gavazzi. «Al momento lavorare non ci conviene: abbiamo smaltito gli ordini arretrati, ma prenderne altri a queste condizioni non è possibile, ci andremmo solo a rimessa. Purtroppo i macchinari che servono per le nostre lavorazioni assorbono un quantitativo enorme di corrente. Quindi conviene sospendere tutto, eppure ci sono tante ditte che ci cercano ancora per darci lavoro». La tessitura pistoiese — «Una delle poche rimaste in città» — lavora le stoffe di una serie di lanifici del distretto di Prato. «Incredibile — dicono — Nessuno pensava di arrivare al punto in cui più si lavora e peggio è».
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