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Il conflitto mediorientale
Tel al-Sultan, ancora. A cinque giorni dall’ordine della Corte internazionale di giustizia di fermare l’operazione e 72 ore dopo la strage sulla tendopoli, i tank israeliani hanno fatto irruzione di nuovo nel cuore di Rafah. Al centro dell’offensiva, oltre Tel al-Sultan, i quartieri occidentali di Yibna e Shaboura. Nel mentre, l’aviazione ha bombardato la parte orientale, distruggendo molte case e causando la morte di 19 persone. Nelle ultime 24 ore 75 palestinesi sono stati uccisi portando, così, il bilancio totale a oltre 36.170 vittime, secondo i dati del ministero della Sanità, controllato da Hamas. L’ennesima raffica di attacchi ha fatto scattare la fuga generale degli sfollati dalla città più meridionale dell’enclave: in centinaia si sono messi in marcia, a piedi, verso Khan Yunis. Nemmeno là, però, sono al sicuro: nella notte tra martedì e ieri, un raid ha ucciso tre persone. La Mezzaluna rossa, invece, ha cercato di trasferire team medici e ospedali da campo ad al-Mawasi, come indicato dalle forze armate. Non ci è, però, riuscita a causa dei combattimenti. L’esercito di Tel Aviv sostiene di avere preso il controllo dell’intera area al confine con l’Egitto – il cosiddetto “Corridoio Filadelfia” – e dei suoi venti tunnel: un risultato fondamentale per tagliare il flusso di armi verso il gruppo armato attraverso la frontiera. Per stabilizzare l’area, però, occorrerà tempo. C’è poi la questione del ritorno di Hamas in alcune parti del nord, già “bonificate”, come dimostra la ripresa delle operazioni a Bureji, Jabalia e Gaza City. Lo ha ammesso lo stesso governo. Il consigliere per la sicurezza nazionale, Tzachi Hanegbi, ha detto che il conflitto andrà avanti altri sette mesi, l’intero 2024. Un’affermazione che rischia di affossare a tempo indeterminato
i negoziati, mediati da Egitto e Qatar e sostenuti dagli Usa, per il rilascio dei 125 ostaggi ancora nelle mani dei miliziani. Due giorni fa, Doha ha consegnato ad Hamas l’ultima proposta approvata da Israele, come confermato da Washington. Finora, però, non c’è stata risposta dal gruppo armato che, formalmente, dopo l’attacco a Tel al-Sultan, ha congelato ogni trattativa. L’ipotesi della cosiddetta “guerra lunga”, poi, si scontra con le crescenti tensioni interne al governo di Benjamin Netanyahu. Dopo le frizioni della settimana scorsa con il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ieri, ad attaccare il premier è stato un altro esponente del Gabinetto di guerra, l’osservatore Gadi Eisenkot. «Netanyahi ha fallito miseramente ogni obiettivo. Deve andarsene. Va fatto il possibile per indire nuove elezioni», ha tuonato l’ex capo di stato maggiore dell’esercito. Il capo del Likud ha cercato di minimizzare. Le crepe, però, sono sempre più evidenti. E la pressione internazionale rischia di approfondirle. Ieri, il Consiglio di sicurezza è stato convocato per esaminare, a porte chiuse, una bozza di risoluzione presentata dall’Algeria in cui si ordina lo stop all’offensiva. Ancora una volta, il testo è stato respinto per la contrarietà Usa. Il vice- ambasciatore Robert Wood lo ha definito «inutile». Il segretario di Stato, però, Antony Blinken, ha ripetuto a Israele l’urgenza di fare di più per difendere i civili e ha chiesto, di nuovo, un’indagine trasparente sul raid di domenica su Tel al-Sultan.
Parole misurate a parte, l’irritazione di Washington per il protrarsi delle ostilità è evidente. Una parte importante dei democratici chiede al presidente Joe Biden di fermare Netanyahu. L’opinione pubblica è spaccata. A far aumentare la pressione, la scoperta – da parte dei media nazionali, New York Times e Cnn in testa – dell’impiego di bombe statunitensi – di tipo Gbu39 – per l’operazione. Affermazioni che Blinken si è rifiutato di confermare. Il Brasile, inoltre, ha confermato la rimozione dell’ambasciatore in Israele, Frederico Meyer – richiamato per consultazioni in seguito alle tensioni delle ultime settimane – senza nominare un sostituto. Mentre, a Ginevra, oltre trenta Paesi hanno condannato, di fronte all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), hanno condannato l’attacco degli ospedali della Striscia, al momento al collasso. Di fronte alle critiche internazionali, cresce la tentazione di arroccamento all’interno della destra israeliana Ieri, il Parlamento ha approvato, in via preliminare, un disegno di legge, presentato dai nazionalisti di Israel Beitenu, che definisce «organizzazione terroristica» l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Se approvata, la normativa abolirà le immunità e i privilegi dell’Unrwa, accusata di complicità nel massacro del 7 ottobre per via dei presunti legami con Hamas da parte di alcuni operatori gazawi.