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3 Febbraio 2023L’autonomia di Calderoli è un bluff per le elezioni regionali in Lombardia
3 Febbraio 2023Mentre il governo cerca d’imporre dall’alto un’ulteriore e drammatica frammentazione del Paese attraverso la cosiddetta “Autonomia Differenziata”, parte dal basso un percorso di convergenza fra reti associative e di movimento, comitati territoriali e organizzazioni sociali, con una campagna significativamente intitolata “Riprendiamoci il Comune”.
Pandemia, crisi climatica, emergenza sociale e guerra hanno dimostrato gli esiti fallimentari di una globalizzazione organizzata intorno al mercato, alla trappola del debito e alle privatizzazioni. E hanno reso evidente la necessità di un altro modello sociale, ecologico e relazionale, da ripensare a partire dalle comunità locali e dai territori, perché la vera dimensione nella quale le persone vivono non è quella del mercato, né quella dello Stato, ma quella della comunità. Sono proprio le comunità territoriali ad essere state maggiormente investite dagli effetti delle politiche liberiste di questi decenni, basate su patto di stabilità e pareggio di bilancio finanziario, tagli ai trasferimenti e riduzioni della spesa pubblica.
Lo scopo non è mai stato quello dichiarato di contenimento del debito pubblico. I Comuni infatti vi concorrono per una cifra irrisoria (1,5%) ma, nonostante questo, le risorse drenate alle comunità locali sono passate da 1,65 miliardi di euro nel 2009 a 16,665 miliardi di euro nel 2015. L’obiettivo vero è stato quello di mettere i Comuni con le spalle al muro per costringerli a mettere sul mercato il territorio, i beni comuni e i servizi pubblici. Le politiche liberiste hanno pesantemente inciso anche sul lavoro pubblico, provocandone una drastica riduzione (-27%) e un progressivo invecchiamento del personale, il 65% del quale ha oggi più di cinquanta anni. Il risultato di questi processi è stata la frantumazione delle comunità territoriali, i cui legami sociali sono stati ridisegnati dentro l’orizzonte della solitudine competitiva.
Nonostante questo quadro, i territori continuano ad essere attraversati da molteplici esperienze di lotte e vertenze, da pratiche di mutualismo e autogestione, da realtà di cura e trasformazione. Sono tutte esperienze che suggeriscono la possibilità di un altro modello sociale, ma che inevitabilmente rischiano di non superare il muro di gomma di istituzioni locali inchiodate dal mantra “C’è il debito, non ci sono i soldi”.
Nasce da queste considerazioni la proposta di due leggi d’iniziativa popolare che mettano al centro i nodi sistemici che impediscono ai Comuni di esercitare la propria funzione pubblica e sociale e alle comunità territoriali di mettere in campo pratiche di autogoverno partecipativo.
La prima si prefigge una profonda riforma della finanza locale, introducendo il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere; eliminando tutte le norme che oggi impediscono l’assunzione del personale; reinternalizzando i servizi pubblici a partire dall’acqua; difendendo suolo, territorio, beni comuni e patrimonio pubblico e dando alle comunità territoriali strumenti di autogoverno partecipativi e inclusivi.
La seconda si prefigge la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, trasformandola in ente di diritto pubblico decentrato territorialmente e mettendo a disposizione dei Comuni e delle comunità territoriali le ingentissime risorse del risparmio postale (280 miliardi di euro) come forma di finanziamento a tasso agevolato per gli investimenti decisi attraverso percorsi di partecipazione della comunità territoriale. Due proposte complementari in grado di far convergere tutte le vertenze territoriali nel comune obiettivo di trasformare alla radice il ruolo della partecipazione, dell’autogoverno e della democrazia di prossimità.
La campagna parte con una reticolare diffusione nei territori, ma non può ancora contare sulla possibilità della firma digitale, perché la piattaforma governativa, approntata dopo anni di ritardi nel novembre scorso, continua ad essere vergognosamente inutilizzabile, perché “in fase di test”. Un ulteriore motivo per mobilitarsi e per dimostrare che non è la resilienza a cambiare il mondo, ma comunità di cura capaci di lotta e trasformazione.