Queen & Annie Lennox & David Bowie – Under Pressure
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2 Giugno 2024L’intervista Letizia Toni, Nastro d’Argento come attrice rivelazione, si racconta «Per interpretare l’artista e le sue crisi ho sovrapposto la mia personalità alla sua»
Letizia Toni, pistoiese classe ’93, ha sempre creduto nel sogno grande di fare l’attrice, anche mentre studiava ragioneria e in famiglia avevano per lei aspettative diverse. Così, di nascosto, si forma alla Scuola di Cinema Immagina di Firenze. Muove poi i primi passi a Roma, con dei progetti di cinema indipendente. Partecipa a film come Re Minore di Giuseppe Ferlito e diventa popolare nella serie Rai L’Allieva , vestendo i panni di Chiara Turati. Il primo ruolo da protagonista arriva interpretando Gianna Nannini in Sei nell’anima su Netflix, che di lei dice: «Mi sono vista come sono, che non è facile. E mi sono piaciuta. Anzi, mi sono proprio innamorata di me». Diretto da Cinzia TH Torrini riporta trent’anni di vita e carriera partendo dall’infanzia della cantante senese, fino alla consacrazione dell’83. Il ruolo le è valso il Nastro d’Argento come giovane rivelazione, ricevuto ieri sera a Napoli.
«È come De Niro: recita allo stesso modo, entrando totalmente nella parte», ha aggiunto la Nannini.
«All’inizio sentivo forte la responsabilità di questo ruolo, avevo una gran paura. Poi mi sono lasciata andare, anche grazie a lei che ha saputo smitizzare il suo mito, annullando ogni tipo di distanza e mettendosi totalmente a disposizione. Indispensabile, mi basta una parola a volerla definire».
Tra i tanti commenti positivi che ha ricevuto, quale si tiene caro?
«Quello di un ragazzo molto giovane che mi ha scritto su Instagram, dicendo di essersi ritrovato nella crisi vissuta da Gianna nel film. Questo l’ha aiutato a riflettere, a tornare su di sé, a comprendere che certe salite della vita sono normali. L’aver suonato corde che fanno bene, mi gratifica. E poi l’idea di averla fatta conoscere a chi, tra le nuove generazioni, ancora non aveva incontrato la sua vita e la sua musica».
Come ha reso la complessità emotiva delle scene più critiche?
«Gianna è stata vittima di uno stato psicotico molto grave che non era indotto dalle droghe. “Ho sperimentato la follia, il non capire chi sei, il rendermi poi conto che se non esci da lì è finita. È stato difficile ma ci sono riuscita: la mia mente ha fatto tutto” mi diceva. Potevo lavorare sulla regressione, prepararmi con delle scene di dolore acceso, ma fondamentale era comprendere fino in fondo le sfumature di questi deliri. E renderli poi in modo realistico».
La Nannini l’ha aiutata?
«Mi diceva quello che provava. Anche se mi peritavo a far troppe domande, son tasselli dolorosi. Ho cercato d’indagare per conto mio, dando una forma interpretativa personale e romanzata come chiedeva il film».
Scendere in delle regressioni così forti non è facile.
«Rendere quello stato d’animo è stato emotivamente complesso. Ho lavorato per un anno col mio coach, Giuseppe Ferlito. La sua presenza mi ha rassicurata e guidata nella resa del personaggio, entrando dentro alle tante sfaccettature della sua personalità. Sono stata a Berlino per l’accordatura e la fusione delle timbriche con Gianna e il producer musicale Christian Lohr».
Di lei, la Torrini, dice: «Non doveva sembrare una copia della Nannini, ma essere lei. È incredibile come sia avvenuta la sua trasformazione. Più Letizia stava vicina a Gianna, più imparava». È stato più difficile entrare nel personaggio, oppure lasciarlo?
«Direi lasciarlo. Mi sono connessa in modo profondo, sovrapponendo la mia personalità alla sua. Tanti elementi tra noi coincidono, li ho usati per sentirla sottopelle: dalla famiglia, anche la mia ha una dimensione imprenditoriale, ai rapporti tra fratelli, con le loro dinamiche. Il percorso che ho fatto per lei, l’ho fatto anche su di me. Sono cresciuta tanto con questo ruolo, a livello professionale e umano».
Ostinazione e integrità. E anche una certa determinazione?
«La spinta che aveva per la musica, è in me il recitare. Partire da zero, contro il volere di tutti, segretamente e senza conoscere la strada. In famiglia hanno cercato di farmi desistere, senza successo. Ci sono state delle battute d’arresto, portandomi a momenti di frustrazione perché non riuscivo a fare quello che volevo. A 24 anni sono sopravvissuta a un brutto incidente stradale. Quel fatto mi ha cambiata, col dolore di certe situazioni capisci quanto serve avere cura di noi. Devo dire grazie alla tenacia e alla mia perseveranza, che mi hanno poi sicuramente premiata».
Le capita di pensare che la forte adesione al personaggio possa associarla per molto tempo al ruolo?
«Ci ho pensato, soprattutto nel periodo in cui mi son trovata a doverlo lasciare. Conto nella lungimiranza di chi mi metterà alla prova in altro. L’idea della trasformazione è elettrizzante, è il mestiere dell’attore».
C’è una quota green nella sua famiglia.
«I miei hanno un garden center a Pistoia. Speravano mi laureassi in Giurisprudenza per lavorare con loro. La passione per il cinema però batteva già forte e soffrivo, perché non avevo l’appoggio di mio padre. Così passavo le giornate in mezzo al verde, che mi è sempre stato amico. Da piccola non mi sopportava nessuno, la mia occupazione era dar noia ai grandi che erano in altro affaccendati. Oggi vivo a Roma, ma ogni fine settimana cerco di tornare. Solo qui mi ricollego con la vera Letizia, che continua ad aver bisogno di natura, famiglia, origini. D’aria aperta e libertà».
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