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13 Agosto 2022di Maurizio Bianchini
Il mio precedente articolo “Una riflessione doverosa” ha suscitato più reazioni di quanto avessi previsto e, come sempre, si sono incrociati pensieri diversi e diverse visioni di uno stesso problema.
Tra le tante mi è stato, ad esempio, fatto notare come l’aver usato l’aggettivo “altisonante” riferito alla testata “La voce del Palio” sia stato preso come offensivo nei confronti dello stesso giornale.
Questo mi dispiace soprattutto per la stima personale che nutro per il direttore e per tutti gli altri giornalisti e ribadisco pubblicamente che non era mia intenzione offendere nessuno.
Questo non toglie nulla al fatto che non sono d’accordo con certe linee editoriali e il fatto di aver citato solo due testate non esclude tutte le altre dalle stesse critiche.
Se ho usato l’aggettivo “altisonante” è perché il titolo, o meglio il nome della testata, porta ad aspettative diverse se usato al singolare “la voce del Palio” mentre sarebbe più corretto se si chiamasse “La voce dei Palii” che lascerebbe intendere l’attenzione, peraltro rivendicata, di occuparsi di tutti i Palii in giro per l’Italia.
Il punto è proprio questo! Nessuno, e ci mancherebbe, vuole negare la sacrosanta libertà di parlare di quello che si vuole o stigmatizzare su certi contenuti, il problema è e resta l’approccio che si ha con queste manifestazione che la sola cosa che hanno in comune con il nostro Palio è la partecipazione di alcuni fantini e quella di alcuni cavalli che, casualmente, corrono o possono correre, questo vale per entrambi le categorie, anche in piazza del Campo.
Parlate pure, dico io delle corse di Fucecchio, di Bientina, di Piancastagnaio, Casteldelpiano e chi più ne ha più ne metta ma, almeno cerchiamo di trattare le varie manifestazioni con importanza e dignità diverse.
Mettere tutti sullo stesso piano non è possibile e non è giusto, neppure per loro.
Ci sono numeri importanti di appassionati e di potenziali lettori che vogliono seguire le gesta di tizio o caio alle corse di “vattelapesca”? Perfetto ! Ma dare la stessa “dignità” e porre tutti sullo stesso livello mi parrebbe cosa sulla quale riflettere seriamente.
Fatta questa lunga premessa vorrei affrontare un altro aspetto, evidenziato nel disgraziato palio di luglio, che è quello della marcata perdita di autorevolezza a favore della più facile e spendibile autorità.
L’autorità, a differenza dell’autorevolezza che si acquisisce con il consenso e il riconoscimento di determinati valori, rappresenta una scorciatoia per togliersi di dosso responsabilità, in nome e per conto di norme, cavilli ed incomprensibili interpretazioni, e non può essere esercitata in nome di un popolo che, attraverso il Palio, rivendica una antica libertà riconoscendosi in regole, perlopiù non scritte, che tutti conoscono e a cui tutti si attengono.
Io stesso sono, da sempre, un assertore della variabilità del Palio in relazione alle modificate sensibilità ed ai cambiamenti della società, come elemento indispensabile alla sua stessa sopravvivenza ma tutto questo deve avvenire in modo naturale, assimilato e condiviso da tutti senza imposizioni spesso incomprensibili e quasi sempre mal digerite dai destinatari di certe decisioni.
Le Contrade, in primis, devono riappropriarsi del proprio ruolo che è quello aggregativo, sociale, e di custodi di quella tradizione e di quella cultura da tramandare alle future generazioni e che hanno fatto del nostro Palio il più grande evento conosciuto in tutto il mondo.
L’esasperazione della conflittualità tra avversarie, ad esempio, quando supera il doveroso gioco delle parti, diventa dannoso per l’intera festa e può provocare molti più danni di una regolare e tradizionale “purga”.
Spesso la paura di perdere si avvicina troppo a quella della possibile vittoria dell’avversaria. Ricordiamoci sempre quella “perla” di sintetica definizione del Palio data da Aceto tanti anni fa. “Il Paglio..se non lo vinci..lo perdi”. Punto.