Diciassette copertine, 150 collaborazioni. Un incidente mortale in cui ha visto la luce. Ha fotografato Andy Wharol e Lady Diana. I Black Panthers in marcia a New York. Craxi prima che diventasse Craxi. Ha inventato le foto posate ai politici come quella in cui si vede Andreotti che fotografa Roma da una terrazza sul parlamento. Antonia Cesareo, la prima fotoreporter per la cronaca politica, è una randagia di 80 anni.
Mette il rossetto viola, lo tampona con la cipria e si lecca le dita per sistemare le sopracciglia: «Questa vita non la posso raccontare. Ogni volta mi uccide». Intorno a lei scatoloni pieni di foto da perderne il conto e una puzza di incenso che invade l’appartamento all’Esquilino dove si è trasferita dopo una vita a Campo Marzio. Accende una sigaretta, dà una boccata e strizza un occhio come se continuasse a guardare attraverso il mirino anche adesso che ha appeso la sua macchina fotografica a un chiodo.
«Da piccola giocavo con i rullini. Quando mio padre muore, prendo la sua Leica e comincio a scattare». A 18 anni Antonia con la sua topolino va e viene da Napoli alla capitale. «Non potevo immaginare che Roma finiva in questa merda».
Alla fine degli anni ‘60 frequenta la piazza del popolo di Bertolucci, Tano Testa, Franco Angeli, Yannis Kounelis. «Gli artisti si incontravano in bettole stupende. Lavoravo per l’agenzia ABC, vivevo a casa di un’attrice in via di Ripetta».
Con Elio Petri fa i sopralluoghi per il film Indagine su un cittadino: «Alla prima manifestazione di operai della CGIL feci uno scatto controluce alle bandiere con la light time. Era un’immagine potente che divenne la copertina della rivista Fortune. Io sono nata con quella foto».
In quegli anni Antonia passa le notti al Rouge noir, un locale dove si ritrovano artisti e scrittori: «Lì ho conosciuto un tipo che sarebbe diventato il mio compagno». Conte Fiorenzi di Montecerno, chiamato Bubi Fiorenzi. «Mi sono trasferita con lui in un attico fatiscente su piazza di Spagna con il tetto sfondato. Bubi non era ancora il mio fidanzato e fece una scazzottata con Jack Kerouac che mi baciava in maniera esagerata. Aveva appena scritto On the road. Quella sera Piero Ciampi suonava il pianoforte. Erano anni in cui c’era lo sperma della novità in tutto, non come adesso che non succede un cazzo».
Lo scatto ad Andy Wharol
Nel 1971 Antonia parte per New York con un gruppo di hippies amici di Elsa Morante: «Se ho un figlio è perché lei mi disse: tienilo, è tuo, non di Bubi». Ad una manifestazione dei Black Panthers in corteo verso il carcere dove era imprigionata Angela Davis, Antonia scatta immagini in bianco e nero di questi corpi che scendono da un’imponente avenue come se emergessero dall’asfalto. «Poi sono stata alla Factory di Andy Wharol. C’era un tavolone enorme con dei vasi assurdi, una casa grigia squallida, un divano con i Velvet Underground sbracati sopra».
Lo scatto coglie il genio della Pop art in controluce mentre si volta a guardare qualcosa di fianco all’obiettivo di Antonia che, posizionata leggermente in basso rispetto al soggetto, cattura quell’istante di luminosa intimità: la bocca dischiusa, un ciuffo di capelli sull’occhio da cui si allunga un’ombra pulsante nel volto.
Torna dall’America e nel ‘72 nasce suo figlio. «Bubi, non lo voleva. Vivevamo per strada, nelle case degli altri». Vanno a stare a Siracusa in un rudere abbandonato. «Lui era un comunista, figlio di multimiliardari, viveva in totale povertà e miseria e gli piaceva essere molto ideologico. Infatti nel ‘77 è stato messo in galera perché pare avesse dato armi ai palestinesi. Io non sapevo niente. Io stavo nel rudere a ospitare gente che andava e veniva». Tra questi anche le figlie di Baader Meinhof, il gruppo anarchico rivoluzionario tedesco responsabile di azioni terroristiche. «Dopo trent’anni ho saputo chi fossero e che dal rudere sarebbero partite per la Palestina. Era un momento pazzesco in Italia. Quando mi dissero che erano passate da lì, mi sono detta: cazzo, potevo fare almeno una foto».
Antonia mette su una musica tibetana e si massaggia le dita delle mani, ancora desiderose di un click. «Io non sapevo della vita segreta di mio marito, geniale e alcolizzato. Non ero consapevole mai di niente». Fare foto era il suo ancoraggio alla realtà. Con uno scatto dire: io c’ero, sono esistita. «Dopo la Sicilia torno a Roma. Elsa Morante stava scrivendo La Storia. Voleva le foto di mio figlio neonato con il ciuffetto per descrivere Useppe. Mi trattava malissimo. Io ero la sua amica figlia e mi trattava come si trattano i figli. Una merda». Negli anni 70 Antonia viene arrestata per cinque giorni: «Cercavano Bubi, mi hanno tolto il bambino. Poi sono riuscita a sistemare tutto».
Unica donna tra bande di fotografi
Negli anni Ottanta Antonia comincia a fare cronaca politica con Franco Fiori: «È stato il mio mentore. Veniva dalle borgate di San Lorenzo, scappato ai bombardamenti sotto il banchetto di frutta del padre. Era l’uomo di punta dell’agenzia Team. Lui approfittava del fatto che io conoscevo la gente e sapevo parlare, io approfittavo perché c’erano le bande dei fotografi».
Antonia deve imparare in fretta per sopravvivere. «Noi eravamo intellettuali. Non cercavamo la foto per strada. Aspettavamo il venerdì quando i politici uscivano dal parlamento con le valigie e li facevamo mettere in posa. Era difficilissimo, loro non si fidavano. Noi abbiamo inventato la foto posata». Lo scatto più bello è a Giulio Andreotti nel suo studio sopra la camera dei deputati con un terrazzo da cui si vede tutta la città: «Andreotti adorava parlare in romano con Fiori: La vedi Franchì via dei prefetti? Io gli misi una macchina in mano, gli dissi: vai! Feci uno scatto ad Andreotti che fotografava Roma».
«Sono stata la prima donna in assoluto a fare la fotografa per strada. Vendevo a L’Espresso, Panorama. Dovevo arrivare prima degli altri fotografi che mi trattavano da hippie puzzolente. Stavo in questo mondo di cattiveria maschile, avevano degli ormoni terrificanti, erano disgustosi, se potevano mi davano un calcio e mi facevano cadere. Erano un banda di mascalzoni».
Antonia impara la libertà di fotografare, di entrare nei posti grazie alla macchina fotografica. «Io intendevo la fotografia come fatto estetico, volevo creare la foto». Antonia fotografa Craxi quando non era ancora noto. «Ho creato l’immagine di Craxi pensando all’estetica. Ho inventato le foto di lui coi bambini al mare e alla corrida di Siviglia».
Nell’85 fa un servizio a Lady Diana. «Potevo fotografarla solo io. Ero ubriaca, feci un bordello per farla ridere». L’anno dopo, quando muore, tutti usano il suo scatto. «Manifesti enormi con la mia foto. Avevo colto l’umanità nel suo sguardo».
Da capo banda ai monasteri tibetani
Negli anni 90 un incidente mortale la tiene ferma un anno e mezzo. «Ho ripreso a lavorare sul motorino con la piaga aperta alla gamba. Era tangentopoli e io avevo le foto di quelli di secondo ordine che però poi hanno arrestato. Ho lavorato per tre anni che ero a pezzi». Con l’arrivo del digitale e delle nuove leve Antonia diventa capo banda: «Ho insegnato ai giovani come vestirsi, giacca e anfibi, come si fanno le foto di corsa, come si entra nei posti senza permesso». L’agenzia di questi ragazzi per un paio d’anni diventa la prima sul mercato. «La vecchia guardia di fotografi mi ha odiato perché insegnavo il mestiere. I ragazzi sono divenuti bravissimi, due ruffiani tremendi».
Dal 2006 due volte l’anno va in Tibet: «Per la fede e le foto. Quando andai nel monastero del Dalai Lama, si ricordava di me. Mi aveva visto in Senato: unica donna col rossetto viola». Le ultime foto pubblicate da Antonia sono prima del Covid. «Adesso non fotografo più con la borsa e la macchina. Scatto col telefono. Sto per strada». Per una vita ha portato sei chili di macchine fotografiche, tutti i giorni sul motorino. «Mi sono giocata i nervi radio mediano e ulnare. Mi sono operata alle mani: ho perso la sensibilità ai polpastrelli, stessa cosa che viene agli operai».
Antonia Cesareo sta scrivendo un libro sulla sua vita. «Mi fa un male cane. Ho paura di me. Prima mi divertivo come una pazza, ora mi rompo i coglioni». Dalla finestra entra un vento, spazza via la puzza di incenso, le scompiglia la testa piena di foto, di immagini di una vita che non si può raccontare.