“Quando si parla di utilizzo di armi italiane sul suolo russo qualcuno pensa a cose generiche. Io so di cosa si parla, di come si usano, di chi ne autorizza l’uso, come avviene ogni dinamica di decisioni e di utilizzo. Io conosco le norme italiane che lo regolano. Diverse da quelle di altre nazioni”, dice Guido Crosetto, ministro della Difesa, in una lettera al Corriere. Mentre Antonio Tajani, ministro degli Esteri, a La Stampa afferma: “Le armi inviate dall’Italia non possono essere usate fuori dall’Ucraina”. Di più. “Ci sono accordi e protocolli scritti che accompagnano queste forniture. Servono delle specifiche autorizzazioni a un uso diverso, che è quello che infatti sta chiedendo il presidente Volodymyr Zelensky”.
Peccato che di queste “norme”, di questi “accordi” e “protocolli” nessuno abbia mai sentito parlare prima. Il governo Draghi – con il decreto del 2022 (poi prorogato nel 2023 e nel 2024) – in cui si definiva la cornice degli aiuti militari autorizzava la cessione di “mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina”, in deroga alle disposizioni della legge 185, e stabiliva che poi attraverso decreti interministeriali ne sarebbe stato definito l’elenco. Da allora, le liste sono secretate e rese note solo al Copasir. Ma finora mai si era sentito parlare di protocolli riservati per regolare l’uso degli armamenti.
Quel che è certo è che il Parlamento non ne sa nulla. La Difesa ha parlato di “protocolli d’uso” tra Italia e Ucraina, che sarebbero resi noti anche al Copasir. Sul punto, non si trova conferma neanche tra i membri del Comitato. Ma va detto che – se pure fosse così – sarebbe l’ennesima prova della poca trasparenza del governo italiano. Ancora. Il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak, in un’intervista alla Stampa, denunciando le ambiguità del governo italiano, fornisce un ulteriore elemento niente affatto secondario: le armi che hanno dato gli alleati “giuridicamente sono diventate nostre, ucraine, comprate o donate”. Tradotto: sull’utilizzo, il governo italiano poco può interferire.
Le opacità dell’Italia si evincono anche da un’altra vicenda. “Colpito a Kursk un blindato ucraino prodotto in Italia”. Poco dopo le 13, l’agenzia di stampa russa Itartass rilancia le dichiarazioni del ministero della Difesa di Mosca. Prima che un video di Repubblica smonti il fatto che si tratti effettivamente di un mezzo prodotto in Italia, arriva una smentita (via agenzie di stampa) affidata genericamente a “autorevoli” fonti italiane, che parla di un blindato “acquisito autonomamente dal governo ucraino e non inserito all’interno di nessun decreto di trasferimento”. Declinando ogni responsabilità su armamenti venduti e senza entrare nel merito di una eventuale vendita comunque controversa (l’Ucraina è un Paese in guerra). Denuncia una nota dei 5 Stelle, firmata da Riccardo Ricciardi, Arnaldo Lomuti, Ettore Licheri, Marco Pellegrin e Bruno Marton: “Il governo non ha nessun controllo e declina ogni responsabilità. Chiediamo quindi a Tajani, che tramite l’Uama della Farnesina autorizza le vendite di armi a Kiev, se queste vendite siano state vincolate o meno al non utilizzo in territorio russo”. Per concludere che “siamo indirettamente in guerra contro la Russia”.