
Unità ritrovata, direzione incerta
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Sotto l’albero del potere
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La notizia, così come viene costruita, non informa: mette in scena. Il fatto politico è piegato a una rappresentazione simbolica che serve soprattutto a Giorgia Meloni e al suo pubblico, molto meno a chiarire la reale posizione italiana sul Medio Oriente.
Il primo nodo è la sovrapposizione deliberata tra piano istituzionale e piano di partito. L’incontro ufficiale a Palazzo Chigi e la passerella ad Atreju sono raccontati come un unico evento, senza distinzione di ruoli. Abu Mazen diventa insieme interlocutore diplomatico dello Stato e ospite celebrato di una festa di partito. È una forzatura che trasforma la politica estera in strumento di legittimazione interna e di autoassoluzione identitaria della destra.
Emblematica la frase di Meloni: «La presenza di Abu Mazen fa giustizia di tante falsità sull’operato del governo a Gaza». Qui la visita non serve a discutere soluzioni, ma a riscrivere una narrazione: quella di un esecutivo accusato di ambiguità che cerca una patente morale attraverso il leader palestinese, ridotto a certificatore politico.
Colpisce anche il richiamo acritico al “Piano di pace del presidente Trump”, presentato come riferimento da “attuare pienamente”, senza ricordare che si tratta di una proposta ampiamente contestata, squilibrata e mai riconosciuta come base credibile dalla comunità internazionale. La notizia elude il problema, trasformando una formula controversa in linguaggio diplomatico neutro.
Sul riconoscimento dello Stato di Palestina, il lessico resta volutamente vago. Abu Mazen auspica, Meloni non si impegna. La soluzione dei due Stati viene evocata come rituale obbligato, privo di tempi, condizioni e strumenti. Una retorica dell’equilibrio che evita accuratamente qualsiasi scelta.
Infine, la ricezione dell’ex ostaggio israeliano viene inserita come “segnale molto chiaro”, senza dire verso chi e per che cosa. È una simmetria comunicativa pensata per l’opinione pubblica interna: un gesto verso Israele, uno verso l’Autorità palestinese, entrambi funzionali allo stesso racconto autocelebrativo.
In conclusione, non siamo di fronte a una svolta della politica estera italiana, ma alla sua messa in scena. Molti applausi, molte parole solenni, pochissima sostanza verificabile. La pace resta una cornice retorica. Abu Mazen, più che protagonista, finisce per essere una comparsa nel teatro politico di Atreju.





