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L’operazione culturale messa in scena ad Atreju 2024 con il “pannello delle egemonie” rappresenta un esempio paradigmatico di quella neutralizzazione di cui parli. La destra di Fratelli d’Italia ha costruito un “pantheon ideale di figure che hanno certamente interpretato un’egemonia, ma anteponendo il coraggio, l’eroismo e la libertà a ogni logica politica” Adnkronos, accostando Pasolini a D’Annunzio, Marconi, Sammy Basso e Charlie Kirk. La giustificazione offerta da Giuli – secondo cui Pasolini sarebbe “semplicemente patrimonio della nazione” e la destra amerebbe “mettere in luce il patrimonio culturale della nazione” Il Sole 24 ORE – è precisamente quella retorica dell’indifferenziazione che consente di annullare ogni specificità del pensiero critico. Quando “tutte le vacche di notte sono grigie”, tutto può essere riassorbito nel “patrimonio nazionale”, categoria vaga e neutralizzante che svuota ogni contenuto polemico e trasgressivo.
La contraddizione è abissale se consideriamo chi era Charlie Kirk: fondatore di Turning Point USA, promotore di una linea rigorosamente conservatrice legata al nazionalismo e al cristianesimo, figura di spicco del movimento trumpista Wikipedia, noto per ripetere le false affermazioni di Trump sulla responsabilità di Kamala Harris per l’immigrazione illegale, per chiamare George Floyd uno “scumbag” e per sostenere visioni culturalmente conservatrici sui ruoli di genere PBS. Un attivista che incarnava esattamente quel conformismo consumistico e quella omologazione mediatica che Pasolini aveva denunciato come il “nuovo fascismo”. Il pensiero pasoliniano era radicalmente altro rispetto a questo tentativo di appropriazione. La sua critica alla società dei consumi identificava nel nuovo Potere del Centro un condizionamento ben più profondo di quello del fascismo storico, perché disponeva di mezzi di comunicazione più efficaci come la televisione Mountainwilderness. Scriveva che “nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della società dei consumi” Frammenti Rivista, perché “questo nuovo fascismo ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali” Città Pasolini. La sua era una critica radicale al conformismo che svuotava anche le forme apparenti della contestazione: Pasolini comprese come il sistema ingloba le proteste e i segni del dissenso, trasformando la rivolta in moda e il ribelle in elemento funzionale al mercato Il Giornale d’Italia.
Il pantheon di Atreju è ancora più grottesco quando si considera l’intero cast. Simone Weil fu una filosofa, mistica e scrittrice francese vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista, che ebbe un contatto diretto con Lev Trockij e si distinse per la scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia Wikipedia. Partecipò come volontaria alla guerra civile spagnola nelle file anarchiche della Colonna Durruti La Feltrinelli, e fu tra i primi intellettuali a riconoscere che l’Unione Sovietica non fosse un esperimento di sinistra ma appartenesse già alla famiglia dei totalitarismi La Feltrinelli. Nel pantheon di Atreju diventa l'”egemonia delle radici”, trasformando un pensiero complesso sulla lotta contro l’oppressione in una vaga celebrazione identitaria. Ancora più stridente è l’appropriazione di Edith Stein. Allieva e assistente prediletta di Husserl a Friburgo, che avrebbe meritato di succedergli nella cattedra (la prese invece Heidegger, che si mostrò acquiescente col nazismo), tentò di gettare un ponte tra la fenomenologia husserliana e la filosofia di Tommaso d’Aquino Diego Fusaro. Vittima delle leggi razziali, deportata ad Auschwitz dove morì nel 1942, questa filosofa ebrea convertita al cattolicesimo che sviluppò un’etica della liberazione del Sé che, ripartendo dalle emozioni e scegliendo un approccio empatico, riusciva a trasformare ogni acritico contagio emotivo in condivisione Scuoladipitagora, nel pantheon di Atreju diventa l'”egemonia dell’amore”, ridotta a simbolo sentimentale e svuotata della sua ricerca filosofica rigorosa.
L’elenco completo è rivelatore: Marconi per la “tecnica”, D’Annunzio per la “poesia”, Majorana per la “scoperta”, Weil per le “radici”, Stein per l'”amore”, Pasolini per la “tradizione”, Calipari per il “dovere”, Sammy Basso per il “coraggio”, Charlie Kirk per le “idee”. Quando Marconi vale Weil, quando D’Annunzio vale Stein, quando Pasolini vale Kirk, significa che non vale più nulla. È precisamente quella “omologazione distruttrice” che Pasolini denunciava: tutto viene ridotto a consumo culturale, a brand da esporre, a merchandising identitario. Il pannello delle “egemonie” funziona come un supermercato dove la destra può fare shopping tra gli scaffali della cultura, scegliendo cosa mettere nel carrello senza dover pagare il prezzo del confronto col pensiero reale di questi autori. Serve una filosofa che lottò contro l’oppressione? Prendiamo Weil, ma togliamole l’anarchismo e il trotzskismo. Serve una vittima del nazismo? Prendiamo Stein, ma togliamole la fenomenologia critica. Serve un intellettuale critico? Prendiamo Pasolini, ma togliamole la critica alla società dei consumi.
Questa operazione risponde alla logica gramsciana dell’egemonia che pure il pannello cita, ma in forma svuotata: il governo afferma che “non avrebbe contrapposto un’egemonia uguale e contraria, ma avrebbe lasciato spazio alla libertà e al valore intrinseco che ogni persona può rappresentare” Adnkronos. In realtà compie un’operazione egemonicamente chiarissima: l’annessione al “patrimonio nazionale” di figure scomode attraverso la neutralizzazione del loro pensiero critico. La tua immagine iniziale era perfetta: nella penombra indistinta del “patrimonio culturale”, tutto perde contorni. Weil che si batte per gli oppressi diventa equivalente a Kirk che difende il capitalismo conservatore. Stein che sviluppa un’etica dell’empatia viene messa accanto a D’Annunzio estetizzante e guerrafondaio. Pasolini che denuncia l’omologazione viene celebrato in una festa che è perfetta incarnazione di quella stessa omologazione.
È il trionfo di quella che Pasolini chiamava la “falsa tolleranza” del nuovo potere: non ti censura, ti celebra. Non ti esclude, ti include. Non ti combatte, ti neutralizza trasformandoti in un brand innocuo da esporre nel museo del “patrimonio nazionale”. E così facendo, compie un’operazione egemonica più efficace di qualsiasi censura: ti trasforma in monumento, ti pietrifica, ti svuota, ti rende innocuo. Pasolini aveva previsto anche questo: che la cultura di opposizione, quando si lascia incantare dalla visibilità e dal linguaggio mediatico, non solo perde efficacia ma diventa complice del sistema che dice di combattere Il Giornale d’Italia. Il suo pensiero viene oggi usato come ornamento in una festa politica, ridotto a slogan sul “valore della tradizione”, proprio mentre quella festa celebra modelli di consumo politico e comunicazione spettacolare che lui aveva radicalmente criticato. La notte dove tutte le vacche sono grigie non è buio naturale: è una nebbia artificialmente prodotta, è il fumo della macchina culturale che permette di far sparire le differenze, di annullare le contraddizioni, di trasformare il pensiero vivo in ornamento morto. È la perfetta realizzazione di quel “nuovo fascismo” che Pasolini denunciava: non il divieto, ma l’inclusione che annulla; non la repressione, ma la celebrazione che neutralizza; non il silenzio, ma il rumore indistinto dove tutto si confonde e niente significa più nulla.
Alfredo Herbin





