ROMA. Rush finale in commissione Bilancio alla Camera per chiudere l’esame della manovra, i lavori vanno avanti nella notte. La novità principale è lo stop all’aumento degli stipendi dei ministri non parlamentari. Dopo aver difeso la norma per giorni, l’esecutivo ha deciso la marcia indietro per rimediare a un danno d’immagine ed elettorale su una norma impopolare, criticata dalle opposizioni e non capita nel Paese. Peraltro sono stati gli stessi otto ministri interessati – quasi tutti – ad affermare pubblicamente a più riprese di non voler usufruire di una busta paga più alta. A dare l’annuncio il ministro della Difesa Guido Crosetto: «Abbiamo chiesto ai relatori di ritirare l’emendamento sugli stipendi ed evitare inutili polemiche». Esultano le minoranze che in commissione accusano i colleghi di centrodestra: «Fate ridere».

 

Quella di ieri è stata la classica maratona che ogni anno segna il dibattito parlamentare nella seconda metà di dicembre. Veleni, caos, ritardi, decine di emendamenti da votare, trattative e riformulazioni fino all’ultimo minuto utile. Proteste anche sulle riprese televisive del circuito interno, con le opposizioni che ottengono l’inquadratura dei vari deputati che intervengono, mentre invece le immagini di solito restano fisse sul tavolo dove siedono il presidente della Commissione e i rappresentanti dell’esecutivo. Il tutto si svolge in un’atmosfera di concitazione nella sala del Mappamondo al quarto piano di Montecitorio, mentre il resto del Palazzo è vuoto.

 

Il mantra ribadito da relatori e ministri è che la finanziaria deve approdare in aula mercoledì pomeriggio per ottenere l’ok, con fiducia, entro venerdì. Anche il calendario però è motivo di scontro, tanto che l’accordo in conferenza dei capigruppo non viene raggiunto. Le opposizioni hanno cominciato sin dalla mattina di ieri a chiedere, invano, la presenza di Giancarlo Giorgetti perché «le coperture non tornano e lui ci deve mettere la faccia». Il sottosegretario Federico Freni non si lascia scalfire dalle polemiche: «L’unico modo per fermare i lavori è rubarmi il tè», dice assicurando «la perfetta tenuta dell’intero impianto della manovra». Il centrosinistra si è poi scatenato contro la misura che avrebbe equiparato lo stipendio dei ministri non parlamentari a quello dei ministri eletti, tanto che i 5 stelle propongono «una paga oraria di 9 euro moltiplicata per il numero di ore lavorate nell’arco di ciascun mese del mandato». I deputati pentastellati prendono di mira il titolare dell’Istruzione: «Giuseppe Valditara troverà sotto l’albero un aumento di oltre settemila euro al mese. In un solo colpo intascherà cinque volte lo stipendio medio di un insegnante. Non si vergogna?». Il leader di Iv Matteo Renzi rincara: «Trovano i soldi per lo stipendio di Giuli e non per il ceto medio».

 

La segretaria del Partito democratico Elly Schlein arriva in commissione nel primo pomeriggio per rispondere alla premier Giorgia Meloni che, dal palco di Atreju, l’ha accusata di diffondere falsità sulle cifre della sanità. «Faccio appello ai colleghi del centrodestra perché sostengano il nostro emendamento unitario che prevede di aumentare di 5,5 miliardi nel prossimo triennio i fondi per il sistema sanitario», dice Schlein. Ma la proposta viene bocciata a stretto giro. «Lo stipendio degli infermieri cresce solo di 7 euro – attacca la leader dem – mentre quello dei ministri aumenta di 7000 euro, mille volte in più di chi si prende cura degli italiani». Ed è all’ora di cena che il governo decide di fare dietrofront, sperando così di ammorbidire le opposizioni sul calendario ed evitare il rischio di un ulteriore slittamento dei tempi.

Sul tavolo delle trattative notturne c’è la misura sui revisori del Mef nelle aziende che ricevono più di centomila euro di fondi pubblici e i prezzi in salita dell’1,8% dei pedaggi autostradali.

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