Flavia Perina
Tre incontri in poco più di un anno, prima a Palazzo Chigi, poi al raduno di Atreju 2023 e adesso nella mecca newyorchese per gala mondani ed eventi aziendali, la Ziegfeld Ballroom, dove Giorgia Meloni ha richiesto che fosse proprio Elon Musk a consegnarle il premio dell’Atlantic Council ai «rari individui che ispirano il mondo». È abbastanza per domandarsi: la destra ha trovato un nuovo guru? E dove immagina che possa condurla, qual è la suggestione che insegue? È ovvio che la chiamata a Musk abbia implicazioni politiche (vai a vedere che rivince Donald Trump…) e anche obbiettivi economici (gli investimenti europei del gruppo fanno gola). Ma la vicenda di questa relazione speciale rivela qualcosa di più intenso di un dato di occasionale convenienza.
In teoria, ogni personale abitudine di Musk, a cominciare dall’ostentata appartenenza alla cerchia di padroni dell’universo non soggetti alle regole dei comuni mortali, dovrebbe essere invisa alla destra. E invece. Musk è l’uomo al quale l’ex-ministro della Cultura italiano Gennaro Sangiuliano promette una «location epica» (il Colosseo?) per fare a pugni con il detestato Mark Zuckerberg, sfidando il ridicolo planetario. Musk è l’ospite d’onore della festa a dispetto dei due o tre figli (su undici) nati con l’utero in affitto, che la destra giudica reato universale e vorrebbe perseguire ovunque. Musk è il Ceo che si desidera a fianco anche se potrebbe esser lì, nella Ziegfeld Ballroom o ovunque, sotto l’effetto della ketamina che usa, dichiaratamente, «per mitigare gli stati mentali negativi», e figuriamoci cosa penserebbe del divieto italiano di vendere persino la ex-cannabis legale.
Fondata ipotesi: a Musk è perdonato tutto perché interpreta l’ossessione ancestrale del mondo conservatore, l’incubo spengleriano del declino definitivo dell’Occidente, e gli dà una prospettiva con un piglio superomista che istintivamente piace anche a chi non ha letto né Oswald Spengler né Friedrich Nietzsche. Visto da destra, è un possibile Gandalf che guida la Compagnia dell’Anello con i suoi magici poteri di mandare razzi su Marte, orientare satelliti, far volare auto o connettere macchine e cervelli.
È il Marinetti 2.0 della velocità social contro le paludate regole del giornalismo professionale con le sue bubbole su fonti, verifiche, notizie certe. È, soprattutto, il visionario ribelle che cavalca la tigre dello Zeitgeist, lo spirito del tempo, fuori dall’imbelle ipocrisia delle democrazie e delle loro regole usurate.
Poco importa che Elon Musk corrisponda davvero al ritratto. La reputazione che si è fatto è quella: irresistibile. E dopo la scelta di sostenere Donald Trump con tutte le sue forze, quest’aura già così speciale si è connessa con l’utopia di un sovranismo planetario fondato sulla libertà di espressione assoluta, la guerra contro il politicamente corretto e la battaglia demografica. Sono tre capisaldi di ogni destra, ma anche un racconto comprensibile a tutti, che oscura le suggestioni muskiane più oscure come il transumanesimo, le aspirazioni tecnocratiche o la nuova ideologia degli ultra-miliardari americani, il longtermismo, cioè la costruzione di un futuro lontano centinaia di migliaia di anni fregandosene delle necessità dell’umanità che già esiste.
Viva Elon, dunque, viva il mago, che è pure l’uomo più ricco del mondo e non guasta. Viva Elon che, per molti versi, è l’underdog della schiatta dei padroni dell’universo, l’ex-ragazzino bullizzato a scuola, mai laureato se non dalle honoris causa conquistate con il successo di Tesla, fallito ripetutamente, ostracizzato dai pionieri della Silicon Valley, dai finti buoni dell’economia digitale prima maniera che promettevano più democrazia e partecipazione. Viva Elon che, anche per questo, è esente dalla tradizionale diffidenza della destra per i poteri forti e i signori dei soldi pur essendo entrambe le cose: titolare di una sfida agli Stati che lo sanzionano per il mancato bando ai messaggi d’odio, in vetta alle classifiche del denaro planetario. Se vincerà pure la partita delle elezioni Usa, sarà un amico prezioso. Se la perderà, si dirà con Gandalf che uno stregone arriva precisamente al momento giusto, e quel momento è solo rinviato.