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21 Dicembre 2025Personaggi del Novecento Cocteau, Gide, Picasso, Stein, Garbo… Il fotografo dei Reali inglesi e di Churchill era curioso di tutto: da Neri Pozza un’antologia dei suoi diari 1922-’74
E’ ancora possibile scrivere un diario che sia elegante, fluido, curioso di tutto e tutti, per gli ignoti che lo leggeranno in un lontano futuro? Un maestro di questo sofisticato genere di autobiografia è stato senza dubbio Cecil Beaton, nato a Londra nel 1904, scomparso nel 1980, che ci ha lasciato un fiume di diari manoscritti, forse 145, alcuni già pubblicati, altri ancora inediti. Fotografo, scenografo, costumista, giardiniere, innamorato… Usava la macchina fotografica come un regista, attento alla percezione di chi guardasse il ritratto o leggesse il breve dialogo di cui poi scriveva nel suo diario con educata sprezzatura. Così nei ritratti della regina Elisabetta II e del suo premier Churchill, giovani, chiusi nel loro noncurante riserbo, distanti.
Ma anni dopo incontrò Churchill che finita la guerra aveva subito una imbarazzante sconfitta elettorale: «… in silenzio ho osservato Churchill tenere tra le mani femminili con le unghie e le dita appuntite un bicchiere di champagne… portava scarpe di vernice screpolata, lo stomaco era prominente sotto una camicia immacolata e la pesante catena d’oro dell’orologio. Più tardi ha dichiarato che essere perdente in politica non lo amareggiava, che in politica bisogna aspettarsi di tutto».
Compare per la prima volta in italiano una scelta molto ricca di questi diari dal 1922 al 1974 – Cecil Beaton, Molto dipendeva dal futuro –, curata da Laura Grandi, prefazione di Hugo Vickers, suo biografo storico (Neri Pozza «I colibrì», pp. 559, euro 42,00). Già la prima pagina del 1924, scritta a vent’anni, metteva in scena passato e presente con la sua tipica ironia. La regina Alessandra, ottantenne, addobbata con gingilli e ciondoli, «una figura fantastica di incredibile grandiosità», si reca in automobile invece che in carrozza a visitare un giardino.
Più avanti le fa da pendant l’eccentrica marchesa Luisa Casati, ritratta in un quadro di Moreau e in un disegno di Beardsley. «Ha un aspetto così esotico – disse di lei un suo amico – che come un animale domestico andrebbe uccisa e impagliata, starebbe benissimo messa in vetrina». Non è meno perfido il grottesco ricordo dell’amico Jean Cocteau: «Un corpo esile da fachiro è sorretto da gambe magre, quelle di un passero, eppure curiosamente, ha i piedi piatti. Le mani sembrano così fragili da far temere che un forte colpo le possa rompere, le unghie sono un po’ sporche…».
A Parigi nel 1944, appena finita la guerra, Cecil aveva incontrato anche Picasso. Ma è segretamente disturbato dalle sue nuove opere, affollate di donne strabiche con tre nasi, lampadine elettriche o di pesci in guisa di cappelli. Ma Picasso lo accolse da gran signore, tranquillo e stupito dal proprio successo. Anche André Gide lo ricevette, «seduto impassibile, una divinità cinese. Scrutavo gli occhietti da girino, la pelle di pergamena bianca, la testa da uovo sodo. Sentivo gli odori di lucertola essiccata». Invece con Colette è facile la conversazione, «come una vecchia scimmietta dalla pelliccia color cincillà, era sprofondata in un divano…». Infine le due famose zitelle Gertrude Stein e Alice Toklas, nella loro casa, cercando di apparire interessato al sofisticato gusto con il quale l’avevano arredata. Sono tornate dal loro rifugio in montagna, Gertrude molto più magra e raggrinzita, Toklas più grassa e irsuta. Il loro cane, privo anche lui del senso di realtà , doveva essere trattenuto nel tentativo di lanciarsi contro gli uccelli dipinti sulla parete. Quando un amico aveva telefonato che era cominciata la guerra, Gertrude aveva risposto: «Chi se ne importa della guerra. Noi abbiamo perso Cecil Beaton».
Il giovane Cecil, autoironico, è pronto a sfidare ogni evento, assorbire ogni moda, ogni gesto. Amabile pettegolo, sorprendente Narciso tra una folla di suoi simili. Le bombe tedesche che cadono su Londra non lo hanno sfiorato. Il giorno della vittoria (8 maggio 1944) ha pianto e brindato con gli amici, «felici come bambini», mentre una gran folla festosa invadeva il West End di Londra. Diviene il fotografo più ricercato dello spettacolo e del gran mondo, dai Reali d’Inghilterra fino ai Rolling Stones, ma l’elenco sarebbe troppo lungo. Finiti gli anni erranti (1922-’39), come li chiama, si annunciano gli anni felici (1944- ’48).
Ecco puntuale il grande amore per Greta Garbo, la passione della sua vita, iniziata da giovanissimo. «Da tanti anni per me Garbo era diventata una ossessione, la sua immagine cinematografica mi perseguitava. Questa leggenda vivente e inaccessibile detestava tutti i tipi di pubblicità e le mie chances di riuscire a catturare la farfalla erano ogni giorno più esigue». Al primo incontro con Greta era rimasto folgorato come se di colpo qualcuno gli avesse aperto davanti la porta di una fornace, «ho dovuto ansimare per prendere fiato. Il calore del suo sguardo, la sua radiosità, il suo sorriso mi avevano fatto perdere l’equilibrio; mi sono retto allo schienale di una sedia… lei dava per scontato che mi fossi innamorato all’istante».
Era stato abbagliato e non si prova a descriverla. Seguirono lettere fitte, quasi un piccolo romanzo epistolare all’interno del diario che fu poi pubblicato con il titolo Loving Greta. Al tempo del primo incontro somigliava a una grande albicocca, «ma poi i biondi capelli erano diventati color cenere, la pelle pergamena, le gambe sembravano quelle di un bambino abbandonato e contrastavano con la grandezza della sua aura». «Ho chiamato pochi giorni dopo l’arrivo a New York – grande sorpresa. Gioia! Sarebbe passata per un bicchiere di vodka … non abbiamo detto niente di interessante». Non ci fu mai una rottura, anche se le loro vite si separarono, e Garbo rimase per anni una amica carissima.
Cominciano gli anni operosi (1948-1955). Cecil lavora come scenografo approfittando dell’improvvisa fortuna americana del teatro inglese. Erano soprattutto le commedie di Oscar Wilde e quelle settecentesche di Congreve e Sheridan ad avere successo. A Patros, Grecia, nel 1958 incontra Truman Capote. «Truman ritiene che oggi giorno E. M. Forster sia lo scrittore migliore; ha un orecchio fine, ogni frase è costruita perfettamente, i suoi personaggi sono reali e le situazioni valide. Ma pensa che dopo Shakespeare nessuno abbia avuto un orecchio migliore di Virginia Woolf: ogni riga che ha scritto era cristallina, anche se il contenuto non era straordinario. Maugham, senza aver orecchio, aveva imparato da solo a scrivere bene». Cecil continua a cenare con raffinati scapoli, che abitano in confortevoli nidi, illuminati dai suoi colori preferiti, magenta, verdi scintillanti, velluti viola.
A Londra, nel 1961, assiste allo spettacolo di Nureev e ne dà una descrizione entusiasta: «Questa creatura dei boschi, di ventitre anni, adesso era, capelli beatnik e via dicendo, un imperatore russo che accettava impassibile l’omaggio dei sudditi. Poco dopo hanno presentato il giovane cerbiatto, e l’ho baciato, felice, sulle guance e sulla fronte». Festa di compleanno di Mel Ferrer, e di Christopher Isherwood. Sono arrivati gli anni del commiato (1965-1974), con l’elenco di illustri amici che si avviano alla loro fine, più o meno malconci. Li descrive con particolare scrupolo, quasi a sfidare la sua stessa vecchiezza in arrivo. Invece David Hockney prevede un futuro magnifico, un’età dell’oro, il computer eliminerà il lavoro; ognuno sarà un artista, nessuna necessità di possedere alcunché. Lui è ancora un giovincello dalla pelle bianca champagne, gli occhiali scuri, vestito di un chiaro verde pistacchio, stivali color bronzo, una calza arancio e l’altra gialla.
È giunta anche per Cecil l’ora di tirare le fila dopo aver menzionato anche i protagonisti della moda, Chanel e «Vogue», su cui forse comparirà un omaggio. Ancora un ballo a Windsor e chiude tranquillamente il diario con una speranza: «Pur con i cieli di un grigio cupo ero ottimista, non volevo credere che la mia vita avesse perso nulla del vecchio ardore, dell’entusiasmo di una volta. Molto dipendeva dal futuro». Beaton è stato un esteta e un critico, fine conoscitore della materia che sostanzia i sogni.





