Germania verso l’ignoto dopo il sì all’AfD. Merkel vs Merz: «Non hai senso dello stato»
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31 Gennaio 2025Alla fine dal Mimit esce una fumata grigiastra, che Fim Fiom Uilm e Uglm descrivono così: “La disponibilità di Beko a iniziare un confronto su un nuovo piano industriale, senza aprire la paventata procedura di chiusura e di licenziamento, costituisce il presupposto minimo per iniziare una trattativa. Tuttavia le disponibilità aziendali sono ancora estremamente generiche”.
Già, perché al tavolo al ministero – con in strada centinaia di lavoratrici e lavoratori Beko, nel giorno dello sciopero negli stabilimenti e negli uffici italiani della multinazionale – l’amministratore delegato della newco turco-statunitense Ragip Bulcioglu ha concesso solo “di stare valutando un investimento di circa 300 milioni di euro, di cui un terzo sarà destinato alla ricerca e sviluppo, in funzione di ulteriori discussioni e della stabilità delle proprie attività in Italia”.
Si prende tempo dunque, nell’attesa di proposte concrete che potrebbero arrivare sul tavolo nel nuovo incontro previsto il 10 febbraio prossimo. “Beko ha parlato di un piano di investimenti più cospicuo pari a 300 milioni – spiegano i sindacati metalmeccanici – ha fatto intravedere la possibilità di non chiudere Comunanza e di prevedere un percorso di tre anni per Siena, dove comunque ribadisce la volontà di cessare la produzione. Grazie alla lotta dei lavoratori, governo e istituzioni locali hanno offerto il loro sostegno a supportare gli investimenti e ad acquistare l’immobile di Siena, garantendone la destinazione industriale”.
Tuttavia, ripetono Fim&c, “rivendichiamo che tutte queste prese di posizione si traducano in proposte concrete già nel prossimo incontro. E finché non sarà garantita la continuità produttiva e occupazionale per tutti i 4.400 lavoratori italiani, continua non solo il confronto ma anche la lotta”. Una lotta per evitare una macelleria sociale fatta di 1.935 licenziamenti, con la chiusura degli stabilimenti di Siena (congelatori) e di Comunanza nel piceno (lavatrici), massicci tagli di personale in tutti gli uffici della penisola – 718 impiegati complessivamente, anche in ruoli strategici come la ricerca – 40 operai da sacrificare nel sito di Carinaro in provincia di Caserta, e 541 “esuberi” a Cassinetta nel varesotto.
Bontà sua, l’ad Bulcioglu “riconferma la disponibilità al dialogo, al fine di individuare soluzioni che possano rendere sostenibile la presenza di Beko Europe in Italia nel lungo periodo”. Tanto basta per far gongolare il ministro Urso, che annuncia: “Ci impegneremo affinché nessuno venga lasciato indietro. Il rilancio produttivo dell’azienda deve avvenire senza traumi sociali, come già accaduto con successo su altre vertenze critiche. Chiediamo a Beko di farsi carico con noi della transizione, individuando con i sindacati e il ministero del Lavoro gli strumenti più adeguati per garantire tutti gli occupati”.
Chissà se gli annunci ministeriali faranno presa su lavoratrici e lavoratori che per l’intera giornata riempiono via Molise, ricevendo la solidarietà concreta di Elly Schlein che li incontra al presidio. “Noi vogliamo lavorare, Beko non si chiude”, gridano gli operai in coro fra le bandiere metalmeccaniche insieme al gruppo studentesco Cravos di Siena. Molti indossano dei gilet bianchi con la scritta “Beko in lotta”, come la senese Elisa Pieri: “Per noi non sarà facile il ricollocamento dopo più di vent’anni in fabbrica e in un territorio che non ha molte industrie – spiega – per questo ce la stiamo mettendo tutta”. Vicino a lei Roberta Pasqualini, che lavora a Comunanza: “Noi viviamo in un paese molto piccolo, se chiudessero la fabbrica, che conta 300 addetti in un paesino di circa tremila abitanti, sarebbe come uccidere il territorio. Siamo già stati colpiti dal terremoto del 2016, c’è la ricostruzione e abbiamo bisogno di riportare qui la gente. Solo con una copertura economica lo possiamo fare, perché i giovani già così tendono ad andarsene”.
“Io lavoro in azienda da trent’anni – prosegue Pasqualini – le mie bambine erano piccole. Anzi lei ancora non c’era”, e indica la figlia Aurora Giustozzi, che dal 2020 lavora per Beko. “L’agenzia interinale che mi ha assunta garantisce un altro posto di lavoro entro 50 chilometri ma qui non c’è nulla – tira le somme Giustozzi – il nostro è anche un territorio bellissimo ma non possiamo vivere solo del turismo estivo mordi e fuggi”.