Infine: la fantascienza di Kim Bo-young ribalta e deride il modo in cui noi umani vediamo la natura. Scrive Carlo Mazza Galanti: “la scrittrice sudcoreana Kim Bo-young, considerata tra le migliori autrici di fantascienza del suo paese e già collaboratrice nella sceneggiatura di Snowpiercer di Bong Joon-ho, un film di fantapolitica accolto da un notevole successo di critica e pubblico, esordisce in Italia con la raccolta L’origine della specie. Che si tratti di stati psichici, fenomeni culturali, ideologie, strutture di potere, i racconti di Kim Bo-young giocano tutti la carta dello straniamento: sono un esercizio radicale di relativismo. La fantascienza è notoriamente un genere per lo più maschile, perciò Kim Bo-young, che è una autrice capace di unire una robusta vena speculativa a una più sottile e penetrante ironia, apre la raccolta con un breve testo che mette in relazione il genere della scrittrice con il genere della scrittura, l’etichetta fantascientifica che le viene solitamente assegnata. Basta il seno per fare una donna? Basta la presenza della scienza per fare la fantascienza? Domande che sospendono abitudini di pensiero inveterate e che si prolungano nelle questioni sollevate nel resto del libro: basta la biologia organica per definire la vita? Basta dimostrare di avere volontà e provare emozioni per considerarsi umano? Basta non essere meccanici per essere liberi? Basta essere come tutti per essere sani? Si tratta di questioni che non contengono al loro interno indicazioni precise sulle tecniche adatte a rispondervi, secondo una pratica che non sarebbe dispiaciuta a Isaiah Berlin, grande pluralista del Novecento. E che però, o meglio perciò, quando finiscono tra le mani di un abile narratore, o di un’abile narratrice, possono diventare storie piene di fascino. L’origine della specie ne offre un esempio brillante e forse per questo, oltre che per questioni di genere, più che fantascientifica quella di Kim Bo-young meriterebbe il titolo di narrativa filosofica”.LA PAROLA DELLA SETTIMANA
maramaldo s. m. – Per antonomasia, dal nome di Fabrizio Maramaldo (capitano di ventura, il quale nella battaglia di Gavinana del 1530 uccise crudelmente il condottiero avversario Francesco Ferrucci, già gravemente ferito), uomo malvagio, spavaldo e prepotente soprattutto con i deboli, gli indifesi, gli sconfitti: fare il m.; essere un maramaldo. Secondo una tradizione, accolta tra gli altri anche da B. Varchi nella sua Storia fiorentina, il Ferrucci, prima di spirare, avrebbe rivolto al Maramaldo le famose parole, divenute poi proverbiali: «Vile!, tu uccidi un uomo morto» (nel Varchi «tu ammazzi»). |
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