Il bilancio demografico dell’Italia chiude ogni anno sempre più in rosso. La fotografia degli “anni di vita attesa” che spettano in futuro agli italiani, scattata dal 2013 al 2023 in base ai dati disponibili sulla loro struttura per sesso ed età, restituisce una timeline che diventa “sempre più corta”: in dieci anni abbiamo perso 184 milioni di anni di vita futura (pari a 2,2 anni a livello pro capite) a causa dell’invecchiamento e del saldo negativo tra nascite, decessi e migrazioni.
A questo ritmo, ipotizzando di congelare l’aspettativa di vita ai livelli del 2022 (quindi a condizioni di sopravvivenza costanti), da qui al 2053 rischiamo di perdere altri 3,7 anni di futuro pro capite. Solo con l’apporto aggiuntivo di 506mila nuovi nati o con 802mila immigrati in più, rispetto a quelli già previsti, fra 30 anni potremmo mantenere lo stesso patrimonio demografico di oggi.
A tracciare la contabilità demografica è uno studio del professor Gian Carlo Blangiardo, già presidente Istat, aggiornato per Il Sole 24 Ore del Lunedì con gli ultimi dati dell’istituto nazionale di statistica sul 2023. «L’intera popolazione al 31 dicembre deteneva un “patrimonio demografico” di 2 miliardi e 255 milioni di anni di vita da spendere in futuro», spiega Blangiardo.
Immaginiamo che l’Italia sia un’impresa e i cittadini il capitale in grado di generare valore. Il patrimonio demografico consiste nel loro futuro, cioè nella somma degli anni di aspettativa di vita che gli spettano nel complesso. In concreto, oggi 59 milioni di italiani detengono un patrimonio di 2.255 milioni di anni-vita, dato dal prodotto tra il numero di abitanti in ciascuna età e la loro corrispondente aspettativa di vita (distinta per genere), così come risulta dalle tavole di mortalità più aggiornate. Questo dato rappresenta l’attuale ricchezza demografica del Paese, che in termini pro capite diventa pari a 38,2 anni di futuro a testa.
Si tratta di un calcolo teorico che può essere realizzato ogni anno a partire dai dati Istat sulla popolazione residente. Dall’analisi dei bilanci degli ultimi anni emerge che “l’azienda Italia”, appena dieci anni fa – quindi rispetto alle risultanze contabili del 2013 (alle medesime condizioni di sopravvivenza) – poteva contare su 2 miliardi e 439 milioni di anni di futuro, cioè 40,4 anni pro capite. «In pratica circa due anni in più di futuro a testa, rispetto a oggi», afferma l’ex presidente Istat.
Con il passare degli anni, infatti, la crisi demografica modifica la struttura della popolazione, erodendo quella che è la vera ricchezza di un popolo: il suo futuro. Il saldo degli ultimi anni è negativo: il crescente numero di decessi si traduce in anni persi mentre il calo delle nascite riduce il “monte-vita” che il nostro Paese è in grado di produrre, in quanto ciascun neonato porta in dote la sua speranza di vita alla nascita, in media 83 anni. Anche tenendo conto dell’immigrazione netta (circa 50 anni di futuro per ogni unità che si aggiunge), l’apporto in bilancio non riesce a compensare le perdite e il naturale consumo degli anni che scorrono.
Il risultato è che nel 2023 il bilancio del patrimonio demografico risulta in perdita per circa 12 milioni di anni-vita, peggiorando il risultato già negativo di dieci anni prima (con un deficit di nove milioni nel bilancio del 2013), quando i decessi erano stati 60mila in meno e le nascite 135mila in più; l’arrivo di ulteriori 119mila immigrati, inoltre, ha compensato il deficit solo in parte.
Così la capacità del Paese nel costruire futuro continua a scendere, osserva Blangiardo: «Quando le aride statistiche ci documentano circa 190mila nati in meno tra il 2008 e il 2023, il dato si traduce in una perdita corrispondente di quasi 16 milioni di anni di vita futura: questi anni avrebbero potuto essere immessi nel patrimonio del nostro paese, della sua economia, del suo welfare, della vita culturale e di relazioni».
A rendere ancora più esplicito l’impatto sull’economia è il confronto tra il patrimonio demografico da spendere in età attiva e il debito pubblico cui si deve far fronte. Rispetto al totale degli anni di futuro contabilizzati, il 54% circa (1,2 miliardi di anni) verranno spesi dalla popolazione residente in età attiva, convenzionalmente tra il 20esimo e il 67esimo compleanno. A questo punto il contributo che andrebbe loro richiesto ai fini di una completa estinzione del debito pubblico italiano risulterebbe di 2.240 euro l’anno pro capite (ragionando sul puro rimborso del capitale iniziale, senza interessi). Tale cifra è data dal rapporto tra il debito pubblico al 1° gennaio 2022 e il patrimonio degli anni vita futuri spendibili – alla stessa data – dagli italiani in condizione di (potenziale) attività. Il risultato, in pratica, rappresenta l’entità del carico debitorio assunto dal popolo italiano sulla base di quanti risultano essere a tutt’oggi i suoi potenziali sottoscrittori e quanto a lungo si stima che vivranno. Una somma che tuttavia è destinata ad aumentare, quanto più diminuiscono i garanti del rimborso e il corrispondente patrimonio demografico attivo.