Forgotten Relics
25 Ottobre 2024Le promesse mai mantenute
25 Ottobre 2024Dopo l’esplosione alla Toyota, il presidio dei lavoratori: «Dobbiamo produrre il doppio negli stessi spazi». Due morti e undici feriti tra i lavoratori del turno. La fabbrica è sotto sequestro: 850 in cassa integrazione
BOLOGNA. Il target era raddoppiato. Così chiamano l’obbiettivo di produzione. Da 54 a 100 carrelli elevatori al giorno per turno. Questo era quello che dovevano fare gli operai dello stabilimento Toyota di Bologna, alla periferia di Borgo Panigale. E questo stavano facendo, quando l’esplosione di una specie di gigantesco boiler collegato all’impianto di climatizzazione ha distrutto il reparto della logistica. È il reparto dove si mettono in fila tutti i pezzi per la linea di produzione. Gli operai preparano la catena. Assemblano i componenti, i cosiddetti kit. Era il reparto più vicino al punto della deflagrazione.
Erano operai e sono morti, ancora e ancora. Sono morti per sempre. È un presente infinito di morte. Torino, Brandizzo, Firenze, Suviana: 680 morti sul lavoro in Italia nei primi otto mesi del 2024. E adesso è toccato a loro, a quelli che dovevano produrre più carrelli.
Quello che è successo non c’entra direttamente con la produzione. Quel generatore non era uno strumento di lavoro. Serviva per il riscaldamento dell’impianto di produzione. Stava fuori, fra due reparti. È stato acceso per la prima volta mercoledì sera, il 23 di ottobre alle 17,30. Quando tutti nelle case della zona hanno pensato allo schianto di un aereo del vicino aeroporto. Una detonazione fortissima, senza incendi. Adesso c’è una ventola enorme conficcata nell’erba a 200 metri dal punto dell’esplosione. Non era un impianto maneggiato dai lavoratori, non era uno strumento di produzione. Ma alla Toyota da giorni si discuteva di sicurezza.
L’azienda aveva chiesto di impiegare 4 operai dove prima erano in 5. «Efficientemento della produzione», avevano detto i manager. I sindacati non erano stati informati delle novità. Era appena stato proclamato uno sciopero.
«Io ho avuto due infortuni. Prima l’ernia, poi una vertebra. Mi hanno sempre messo da parte. Dopo nove anni di lavoro sono ancora “terzo s”. Il livello più basso di tutta la fabbrica. Noi protestavamo per chiedere spazi nuovi e più sicuri, per produrre più velocemente. Si lavora male in spazi stretti. Ci chiedono di produrre il doppio, ma lo stabilimento è identico a molti anni fa».
Pioviggina. È un giorno livido. Portano fiori per Fabio e Lorenzo. Ci sono altri undici operai feriti. E siamo tutti qua, inutili come queste parole già usate altre migliaia di volte.
«Dicono. Ma come? Una multinazionale? Un marchio famoso in tutto il mondo? Io ritengo che la casa madre non sia stata informata di quello che succedeva». Il delegato sindacale Pino Sicilia, responsabile per la sicurezza, si aggira con un’aria disperata. «Il Pdr. Seguite il tema del Pdr». Il Pdr? «Il premio di risultato. Quello che succede è che i manager italiani puntano al premio. E per farsi belli con la casa madre, scelgono sempre la stessa strada. Risparmiano sui costi, cioè sul lavoro. Ma intanto aumentano la produzione. Noi chiedevamo garanzie. E mentre tutto questo era in discussione, ecco questa esplosione terrificante di cui nessuno ha capito la causa. È stata una bomba. Non sappiamo se possa avere avuto un peso la pioggia dei giorni dell’alluvione. Non sappiamo se ci siano stati degli interventi di ripristino e collaudo. Sappiamo che quando hanno acceso l’impianto di riscaldamento, quel gigantesco boiler è esploso. Ma non era segnato in rosso sulla mappa dei pericoli aziendali, anche questo è un fatto. E Fabio e Lorenzo hanno avuto la sfortuna di essere i più vicini al punto del disastro».
Mentre i delegati sindacali sono dentro gli uffici della Toyota per parlare con i responsabili, mentre continuano ad arrivare altri operai attoniti e soli, mentre tutto il cancello della fabbrica si riempie di mazzi di fiori, succede qualcosa che sposta gli equilibri. Arriva un padre. È il padre dell’operaio Lorenzo Cubello. Si guarda intorno, legge il nome di suo figlio sui biglietti di condoglianze e incomincia a piangere. «Era un ragazzo stupendo, disponibile con tutti, un gran lavoratore», dice. Si mette le mani sul viso, racconta la sua storia. «Io ho fatto il carabiniere. Sono partito dalla Calabria, poi Alessandria e Bologna. Ero al nucleo radiomobile. Ne ho viste di cose tremende, ma questa non la sopporto. Ogni volta dicono che sarà l’ultima, ma poi non cambia mai niente. Non si può morire ogni giorno. Qui qualcuno deve intervenire».
Il padre cammina in tondo. Il padre non sa dove andare. Il padre dice: «Mercoledì pomeriggio ero a casa, abbiamo sentito un boato. Una cosa tremenda. Abbiamo iniziato a chiamare, ma Lorenzo non rispondeva. Allora ho preso la macchina e sono venuto qui. Sono stati i miei ex colleghi carabinieri a dirmi quello che era successo, a sostenermi, a riaccompagnarmi a casa. Dall’azienda niente, nemmeno una telefonata. Non mi sembra un bel comportamento». Suo figlio le raccontava dei problemi in fabbrica? «Sì, avevamo parlato anche della sicurezza, ma adesso non voglio polemizzare. Lorenzo lavorava da nove anni. Era un jolly. Era un bravissimo ragazzo. La sua fidanzata è incinta di cinque mesi. E lui non ha avuto nemmeno la soddisfazione di vedere nascere sua figlia».
La fabbrica è sotto sequestro. La fabbrica è dilaniata. La fabbrica non produce più. Ora ci sono 850 operai in cassa integrazione meno due, si chiamavano Fabio Tosi e Lorenzo Cubello.