Si dice che l’amministrazione Biden sia rimasta esterrefatta dall’apprendere che le consultazioni politiche in corso in Israele stiano causando ritardi nell’attuazione dell’accordo sugli ostaggi. Per niente sorprese, invece, le famiglie dei rapiti. Esauste, si sono sostanzialmente chiuse nel silenzio stampa e hanno smesso di frequentare la piazza degli Ostaggi a Tel Aviv.
La sequenza serrata di eventi tutti interni alla coalizione guidata da Benjamin Netanyahu – «briefing isterici» dell’ufficio del primo ministro, come li definisce Haaretz – è iniziata nella notte tra mercoledì e giovedì, poco dopo l’annuncio partito da Donald Trump sul suo account social dell’accordo raggiunto per gli ostaggi in Medio Oriente e ufficializzato dal primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani.
Di primo mattino, un “anonimo funzionario israeliano” – ma tutti in Israele sanno che dietro al funzionario di alto rango c’è Netanyahu in persona – attaccava Hamas per aver ritrattato alcuni punti dell’intesa e dichiarava che governo e gabinetto di sicurezza non si sarebbero riuniti fino a garanzie da parte del gruppo. Dichiarazione che prende in contropiede la stessa fazione palestinese e che spinge il suo ufficio politico a smentire: «Hamas conferma l’impegno nell’accordo di cessate il fuoco annunciato dai mediatori».
All’ora di colazione, la riunione del gabinetto di sicurezza israeliano slittava al pomeriggio. «Ci aspettiamo che l’accordo Gaza parta domenica», dichiarava Antony Blinken alla stampa al dipartimento di Stato. Ma all’ora di pranzo, la riunione veniva rinviata nuovamente alla sera. E così via, di ora in ora. Fino all’annuncio, in tarda serata, che gli incontri si terranno sabato all’uscita di shabbat, il riposo settimanale ebraico, cioè dopo il tramonto. A questo punto è improbabile che la scadenza per l’inizio del cessate il fuoco, domenica mattina alle 12.15 (le 11.15 in Italia), potrà essere rispettata.
A Doha sono rimasti l’inviato di Biden nella regione, Brett McGurk, e il rappresentante di Trump, Steve Witkoff a presidiare le trattative con il capo del Mossad, David Barnea. Secondo il Jerusalem Post, potrebbe essere proprio lui, che in queste ore mantiene il più totale riserbo, l’uomo chiave per dissolvere le complicazioni tra Hamas e Israele.
Ciò che appare in superficie a minare l’accordo, tuttavia, è il caos tutto interno a Gerusalemme. I ministri di ultradestra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, fanno la guerra alla fine della guerra fin dal principio.
«Se l’accordo sarà approvato, ci dimetteremo dal governo. Ritorneremo a farne parte solo se la guerra a Gaza riprenderà», tuona il ministro della Sicurezza Nazionale. Ben Gvir minaccia Netanyahu di andarsene sbattendo la porta. «Non fosse che è una porta girevole», commenta con ironia il giornalista israeliano di Canale 12, Amit Sigal. Il Likud gli risponde che «chiunque faccia cadere il governo sarà ricordato come una piaga globale».
Con Smotrich, ministro delle Finanze, Netanyahu ha parlato sei volte in 24 ore. Alla fine, il leader del partito Sionismo religioso ha preteso dal premier garanzie scritte che subito dopo la prima fase dell’accordo e la liberazione di 33 ostaggi, l’esercito tornerà a mettere a ferro e fuoco Gaza fino alla distruzione completa di Hamas.
Nella Striscia, Tsahal e il ministero della Difesa stanno avviando i preparativi per implementare l’accordo di cessate il fuoco e creare le condizioni per il ritorno in sicurezza degli ostaggi. Ma allo stesso tempo, fino all’entrata in vigore della tregua, continuano le operazioni militari. Il ministero della Sanità di Hamas ha denunciato l’uccisione di 81 persone negli attacchi israeliani di ieri. Una delle vittime, ha detto il portavoce delle Brigate al Qassam, Abu Obeida, sarebbe una donna ostaggio. L’esercito israeliano ha confermato gli attacchi su cinquanta obiettivi in tutta la Striscia e l’eliminazione di Muhammad Hasham Zahedi Abu Al-Rus, membro delle forze d’élite Nukhba di Hamas, che il 7 ottobre del 2023 si infilò al Nova Festival e fu tra i responsabili del massacro.
Non si riesce ancora a mettere in sicurezza l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza che già si inizia a temere per la tenuta di quello con Hezbollah in Libano. La settimana che avrebbe dovuto passare alla storia per l’inizio della tregua tra Israele e Hamas dopo il massacro del 7 ottobre (del 2023) e 15 mesi di guerra, l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca e il consolidamento dei nuovi equilibri al confine fra lo Stato ebraico e il Paese dei cedri, appare immersa in una nebbia di instabilità.
Il Jerusalem Post ha raccolto la preoccupazione di fonti vicine al presidente eletto Trump, e trasmessa a funzionari israeliani, dopo un approccio per «convincere le controparti statunitensi della necessità di una presenza prolungata di Israele nel Sud del Libano oltre i sessanta giorni concordati, a causa del lento dispiegamento dell’esercito libanese».