Meloni scopre i danni della Bossi-Fini e corre dall’Antimafia
«Voglio parlarvi di immigrazione». Così ieri Giorgia Meloni ha cominciato la sua informativa al consiglio dei ministri in cui ha annunciato di aver consegnato al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo «un esposto sui flussi di ingresso in Italia di lavoratori stranieri avvenuti negli ultimi anni avvalendosi del cosiddetto decreto flussi». L’incontro era avvenuto in mattinata, con la premier c’era anche l’onnipresente sottosegretario Alfredo Mantovano.
E GIÀ QUI, prima di affrontare il merito della questione, vale la pena fermarsi un attimo: la procura nazionale antimafia non ha poteri investigativi, dunque presentare lì un esposto ha molto poco senso. Esiste infatti il principio del giudice naturale precostituito per legge. Ed è bene tenere a mente che il suo contrario è il tribunale speciale, che in Italia è esistito solo durante il fascismo. Una premier (anche se viene dal partito erede dell’Msi) dovrebbe saperlo. Ma in questa storia, forse, più che la necessità di risolvere un problema, ad essere importante è la propaganda – cioè la possibilità di agitare lo spettro della questione migratoria – a pochi giorni dal voto europeo. «I flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare», ha detto Meloni ai suoi ministri con il tono di chi ha fatto una scoperta sensazionale. In realtà, chi si occupa di questioni migratorie, ha ben presente da diverso tempo quanto problematici siano i flussi e quanto questo meccanismo funzioni poco e male. Lo spiega bene Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci: «L’esposto è un’altra dimostrazione della faccia tosta e della mancanza di vergogna di questo governo. Sappiamo, sulla base di quel che è avvenuto dal 2002, anno dell’approvazione della Bossi Fini, che è la principale responsabile delle truffe, che si tratta di un meccanismo impraticabile». In effetti di rapporti e inchieste che dimostrano come il decreto flussi non serva tanto a far entrare lavoratori in Italia quanto a regolarizzare la posizione di chi già si trova nel paese. Oltre, ovviamente, ai casi di palese illegalità, tra sfruttamento e caporalato, dichiarazioni fittizie e mafie interessate assai all’argomento.
LA REDAZIONE CONSIGLIA:
Corpi schiacciati tra propaganda e fame di bracciaAD OGNI MODO, Meloni a Melillo ha consegnato una serie di dati «allarmanti» che arrivano soprattutto «da alcune regioni» come la Campania, dove «abbiamo registrato un numero di domande di nulla osta al lavoro per extracomunitari, durante il click day, totalmente sproporzionato rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro, siano essi singoli o imprese». Per fare un esempio, ha proseguito la premier, sui permessi di lavoro stagionali (agricoltura e turismo), emerge che «nel 2023, su un totale di 282.000 domande, 157.000 arrivano dalla Campania, mentre 20.000 arrivano dalla Puglia». Una differenza di non poco conto, in effetti. Un’assurdità se poi si considera che, secondo quanto sostengono le associazione della campagna Ero straniero, meno del 30% alla fine riesce a ottenere un contratto regolare. E gli altri? Entrano con regolare visto e poi finiscono in un limbo di incertezze, facili prede della criminalità organizzata.
LA REDAZIONE CONSIGLIA:
Campania, la filiera tessile sulle spalle della comunità bengaleseDAI DATI SQUADERNATI da Meloni viene fuori inoltre che la quota di gran lunga maggioritaria dei beneficiari del decreto flussi proviene dal Bangladesh: il 45,4% nel 2022, il 63,1% nel 2023 e il 51,1% nel 2024. Secondo la premier questi numeri si spiegano con il fatto che in Bangladesh «le autorità diplomatiche parlano di fenomeni di compravendita dei visti per motivi di lavoro». E ancora: «I bengales sono anche la prima nazionalità di immigrazione illegale nei primi cinque mesi di quest’anno, e questo presuppone un collegamento forte tra organizzazioni criminali che operano nel paese di partenza e organizzazioni criminali che operano nel paese di arrivo». Tutto vero. Ma anche tutto già noto. Infatti dalla procura di Napoli fanno sapere che «il fenomeno è monitorato da tempo». E il Pd chiede che sia Meloni sia Melillo vadano a riferire in commissione antimafia. Una richiesta probabilmente destinata a restare inevasa.
IL GOVERNO, in ogni caso, sembra intenzionato a intervenire (ma non subito, dopo il G7 pugliese in programma a metà giugno). Sempre Meloni: «Abbiamo già ipotizzato le iniziative da prendere sia di ordine legislativo, sia di ordine amministrativo». Su cosa si interverrà? Sulla «verifica delle domande di nulla osta al lavoro», sul «meccanismo del click day», sulla «definizione delle quote», sul «rafforzamento dei canali di ingresso speciale» e, più in generale, sulla «collaborazione con le associazioni di categoria». Significa stravolgere la Bossi-Fini. Con appena ventidue anni di ritardo.