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18 Dicembre 2022
Sono passati soltanto quattro anni da Sciccherie, il brano che l’ha lanciata nel panorama degli artisti più interessanti della scena indie-rap, se non fosse che fin dagli esordi si intuiva la difficoltà di incasellarla in un genere. Abile a cesellare le parole, dopo sperimentazioni linguistiche spesso ardite tra neologismi e frasi spezzate intessute come brandelli di discorso, Madame torna sul palco del festival di Sanremo (il debutto nel 2021 con Voce, vincitrice della Targa Tenco come migliore canzone) con Puttana, testo che segna una svolta riduzionista all’insegna del less is more: evoluzione simile a quella di un pittore figurativo che dopo avere spinto al massimo, fino all’iperbole manierista, le potenzialità espressive del mezzo torna all’essenzialità del segno.
«Adesso diranno che Madame ha disimparato a scrivere — ironizza la cantautrice vicentina, 20 anni, all’anagrafe Francesca Calearo —, posso firmarlo come un marchio inciso con il ferro bollente sul legno». E però, il passaggio a uno stile più scarno riflette la trasformazione che, dalla sua zona di comfort, la vede proiettata verso l’età adulta: un percorso arricchito dal confronto con tutto quanto possa risuonare più per contrasto che per affinità tra intimismo e curiosità antropologica, conoscenza di sé e viaggio intorno all’uomo. Accade, così, nell’alveo di un processo naturale sintonizzato sulle frequenze emotive, che la scrittura sia sempre più il riflesso del suo sguardo cinematografico: meno trasfigurato e più aderente al racconto, per quanto immaginifico. Storie verosimili che rimandano al quotidiano, diventato il fulcro del suo interesse in controtendenza rispetto ai coetanei che spesso dribblano la realtà cercando una dimensione parallela nell’universo dei social.
Al contrario, Madame prova a intercettare sprazzi di autenticità che spesso provengono dai margini e dalle periferie del mondo con una sensibilità che ricorda la celebre strofa di Via del Campo di Fabrizio De André: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La ricerca di semplicità nei contenuti — parabole nelle quali tutti possono riconoscersi — procede di pari passo con la scarnificazione stilistica e aggancia la necessità di concentrarsi sul ciclo dell’esistenza nella sua interezza, oltre il singolo segmento. La metafora scelta dall’artista per sintetizzare questa predisposizione d’animo è l’immagine giapponese dell’ikigai che indica il senso della vita e la ragione per svegliarsi al mattino: per lei è la certezza di trovare sempre qualcosa di prezioso tra le persone ignorate e dimenticate.
Come nasce il nuovo brano che porterà a Sanremo?
«Nel momento in cui si scrive si è all’interno di un flusso, quasi in stato di trance, collegati a un’idea, un pensiero: da quel rubinetto escono parole, sensazioni, emozioni. “Puttana” è una parola come tante, senza una connotazione positiva o negativa. Una volta uscita dalla creazione del brano e dopo averlo ascoltato, posso dare degli input di quello che mi arriva. Nella canzone il termine “puttana” suona come una dolce offesa… In pratica mi immedesimo in una prostituta che si innamora di un uomo, ma lui la vede soltanto come un errore. Tra loro nasce una discussione, rispetto alla quale lei fa un ragionamento più profondo: la morale è che puoi prendere ciò che di buono ti arriva da qualsiasi parte… Che sia il 70 per cento bene e il 30 per cento male o viceversa, il messaggio è: concentrati sulla fine del percorso, su ciò che anche una puttana può darti».
Il titolo, il taglio e la trama narrativa ricordano «Bocca di rosa» di De André, cantautore al quale lei è molto legata.
«Sono cresciuta ascoltando le sue canzoni, mi dispiace non averci mai potuto parlare perché adoriamo le stesse cose. Nel mio brevissimo arco di vita ho ricevuto più risposte dai semplici, dagli ignoranti, da chi non ha niente da perdere che dai grandi scienziati e filosofi. Durante la scrittura del brano ho fatto dei viaggi di gruppo a caso, sono andata fuori Milano, in ritiro nei centri diurni… In situazioni di questo tipo trovi sempre persone che riescono a spiazzarti con la loro semplicità… l’anziano nel borgo semiabbandonato che ha capato fagiolini per tutta la vita e spara la perla di saggezza, la bomba atomica… Da ventenne adoro la mia zona di comfort, inizio a capire i rischi del mondo e me la sto un po’ facendo sotto… ma fin da bambina sono sempre uscita di casa per andare dalle persone ignorate… Rimarranno la mia fonte di ispirazione».
Per la sua generazione la scrittura spesso si è ridotta ai pittogrammi degli emoji o al gergo ipercondensato di Whatsapp: qual è il suo rapporto con le parole e come riesce a veicolare la raffinatezza dei suoi testi?
«Le origini sono fondamentali… se cresci con un papà che ti fa ascoltare Il pescatore di De André continuerai a cercare contenuti di una certa profondità, non ti basteranno le canzoni banali con testi poco studiati. In questo momento la scrittura è quello che voglio fare nella vita per dare un senso a me stessa e aiutare gli altri. Il mio motto è cercare di spingermi oltre il feticismo nei confronti della parola, per concentrarmi sulle emozioni che può suscitare, di eccitazione o tristezza, che magari negli altri non provocano lo stesso effetto. Dipende molto dal periodo in cui mi trovo, in cui voglio creare, seguire la passione per il testo e la musica: mi metto a scavare e cerco di capire da dove viene quella parola. In Puttana è come andare in altalena, fare un giro di 360 gradi e tornare al punto di partenza: ammirare la semplicità del linguaggio e delle persone che ignorano i termini aulici e sofisticati. Puttana è una parola che conoscono tutti: io e Valentino, il clochard che incontro in Stazione Centrale a Milano, e mi chiede l’autografo; mia madre, mio nipote… È nel solco di tutte le parole che ho utilizzato per il nuovo progetto discografico: sono semplici ma dietro c’è uno studio. Tutto il brano che porto a Sanremo è improntato sul dialogo spiccio, franco, tra i due interlocutori e sulla chiarezza delle parole».
Quale pensa che sia il gancio più efficace per arrivare al pubblico?
«Credo che l’elemento più forte sia questo: avere idee alle quali la gente si attacca a prescindere dall’età, che risuonano anche nei quaranta-sessantenni. È gratificante quando ho finito un progetto al mix and master; ma il massimo dell’entusiasmo è trovare l’idea: se è forte non servono cinquantamila ingredienti; sta in piedi da sola. Credo sia il processo vincente in tutti i campi creativi. Io faccio la cantante, ma in due anni ho cantato solo in tour e un paio di volte sotto la doccia. Il mio lavoro è cercare l’idea, quando mi serve la voce chiamo il vocal coach e in tre settimane sono pronta. Sono una fan dell’auto-tune, che ho imparato a dosare e con il quale credo la mia voce funzioni meglio. Ovviamente, se impegnassi il 90 per cento del tempo a cantare sarei intonatissima, ma preferisco utilizzarlo per trovare modi efficaci di comunicare. Per molti giovani artisti le priorità sono il denaro e la fama, obiettivi non così difficili da raggiungere se si hanno una buona idea di marketing, una bella personalità, un valido produttore e un video accattivante… Io ho altre ambizioni, sono libera di scrivere in freestyle perché non ho il denaro come dio. Gli agi sono piacevoli, ma non mi cambia nulla tornare a vivere da mia madre o trascolare in una casa popolare. Quello che faccio prescinde dall’avere buoni riscontri sui social e dalla Fomo (fear of missing out, l’ansia sociale di rimanere tagliati fuori dagli eventi che contano, ndr). Vorrei che un giorno la mia discografia fosse una bella fotografia della mia vita, del tempo e dell’evoluzione di una donna nei miei anni».
Lei fa spesso uso dell’allegoria. Cosa la stimola di questa figura retorica?
«Anche De André utilizzava immagini che ne contengono altre… se il testo di Fiume Sand Creek, dell’indiano ucciso nella sua tenda dai bianchi, è arrivato a una bambina di cinque anni significa che dentro c’era molto più della storia di Pocahontas… L’allegoria serve a questo… Io vivo a Milano, mi alzo la mattina, porto fuori il cane… se dovessi parlare della mia vita senza allegorie andrei in crisi… La fantasia mi permette di entrare nelle vite degli altri, per poi rientrare in me, sentendo sulla mia pelle quello che sentono gli altri. Il patrimonio umano è quanto di più ricco abbiamo…».
Quali libri hanno lasciato un segno nella sua formazione?
«Sicuramente Lolita di Nabokov perché ha una storia molto articolata, che mostra il lato oscuro, controverso, della natura umana. Mi piacciono i libri che ti mettono dalla parte del torto senza farti sentire dalla parte del torto. Io credo che non esistano i cattivi, se qualcuno compie un’azione malvagia qualcuno prima l’ha fatta a lui. Nabokov è lì».
Che rapporto ha con la metrica e la musicalità della poesia?
«Una raccolta che ho letto di recente, Il libro della follia di Anne Sexton, esponente del movimento americano della confessional poetry, mi ha colpita per la libertà con la quale affronta temi che, al suo tempo, erano tabù. È la mia poetessa preferita del periodo fine adolescenza-inizio dell’età adulta… Adoro i suoi testi, sono di un marcio patinato pazzesco».
Ha mai pensato di scrivere fuori dal perimetro della canzone?
«Certo che ci ho pensato; non tutto può rientrare in una base musicale. Sto raccogliendo poesie, ma me ne viene una ogni sei mesi… un progetto a lungo termine. Ho una scrittura molto cinematografica, per immagini, e mi piacerebbe realizzare la sceneggiatura di un film nel quale sono anche attrice e autrice della colonna sonora… vorrei lavorare da un punto di vista totale».
Se dovesse scegliere la parola che più la rappresenta, quale sarebbe?
«Sono molto attratta da una forza che mi spinge verso il basso, carnale, ed elevata da qualcosa che mi attrae verso l’alto, la sfera spirituale. Ci vorrebbe una parola che racchiuda sia la carnalità sia la spiritualità, il bianco e il nero… Nel nuovo album vi svelerò la soluzione».
di Maria Egizia Fiaschetti
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