Gli ultimi delle Vele
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24 Luglio 2024Roberto Maggioni, MILANO
Quando lo sfruttamento dei lavoratori dai campi passa a un colosso delle nuove tecnologie, anche il classico caporalato diventa «digitale». È il caso di Amazon e dell’ennesima inchiesta della Procura di Milano – siamo alla 21esima nel filone della logistica in pochi anni – che ha portato la Guardia di Finanza a sequestrare 121 milioni di euro alla multinazionale dell’e-commerce.
BRICIOLE per il suo miliardario proprietario, Jeff Bezos, ma che fanno la differenza per lavoratori che ora possono sperare in assunzioni regolari e paghe dignitose. L’indagine, come le altre eseguite dai pm Paolo Storari e Valentina Mondovì, ha tolto il velo sui cosiddetti «serbatoi di manodopera», quei sistemi attraverso i quali le grandi aziende si garantiscono profitto e tariffe competitive sfruttando i lavoratori tramite cooperative e società «filtro».
UN SISTEMA che era venuto a galla anche nei casi delle inchieste su Dhl, Gls, Uber, Lidl, Brt, Geodis, Esselunga, Securitalia, Ups, Gs Carrefour e Gxo, fatte grazie anche alle denunce del sindacato di base di SI Cobas, in particolare a Piacenza dove invece la Procura indaga sui sindacalisti che organizzano le proteste. Con queste inchieste i magistrati milanesi hanno già fatto recuperare al fisco circa 600 milioni di euro, stabilizzato 14 mila lavoratori e per 70 mila è arrivato l’aumento di stipendio: una sorta di attività sindacale per via giudiziaria. Le inchieste sono la fotocopia l’una dell’altra, il «meccanismo fraudolento è tutt’ora in atto con rilevantissime perdite per l’erario e situazioni di sfruttamento lavorativo che perdurano a tutto vantaggio di Amazon Italia Transport srl» scrivono i pm Storari e Mondovì nel decreto di sequestro.
CON AMAZON la differenze la fanno le nuove tecnologie, il software che controllava i lavoratori delle cooperative in appalto per conto della società americana. Amazon Italia Transport srl attraverso i propri dispositivi tecnologici organizzava l’attività lavorativa di distribuzione e consegna merci, compresa quella relativa alla cosiddetta consegna di ultimo miglio, in apparenza appaltata a fornitori esterni ma di fatto controllata direttamente. Così esercitava un controllo totale di tutti i lavoratori della filiera.
LE «SINGOLE SOCIETÀ affidatarie del servizio di consegna non dispongono nello svolgimento dell’attività di alcun potere discrezionale – scrivono i pm – in quanto i lavoratori non possono che interloquire costantemente solo con il dispositivo informatico loro in uso, dotato di un software gestionale di proprietà Amazon, con cui sono impartite le concrete direttive operative per effettuare l’attività di consegna».
I SOFTWARE e i relativi dispositivi elettronici messi a disposizione da Amazon, si legge ancora nelle carte «sono studiati e impostati al fine di massimizzare la produttività e raggiungere la maggior quantità possibile di passaggi, non lasciando all’appaltatore alcuna discrezionalità operativa, residuando per esso unicamente poteri accessori, quali l’assegnazione di ruoli, l’organizzazione dei turni, il pagamento delle retribuzioni».
QUESTO ALGORITMO sviluppato da Amazon Italia Transport consentiva anche di elaborare delle schede denominate «manifest» che periodicamente venivano consegnate ai singoli corrieri ed in cui venivano annotati i tempi di lavoro come il tempo tra una consegna e la successiva, o il tempo di arrivo e ripartenza dal luogo di consegna, o ancora il rispetto della fascia oraria di consegna prescelta dal cliente Prime. Stando alle testimonianze raccolte dai magistrati milanesi, una volta a destinazione per il corriere «il tempo di materiale esecuzione della consegna del pacco al cliente è uniformemente quantificato dal software in tre minuti» e «il ciclo di consegna viene elaborato dal software considerando un tempo complessivo pari a 400/500 minuti, decorrenti dall’avvenuta esecuzione della prima consegna».
DURANTE la pandemia Covid – quando chiusi in casa c’è stato il boom di ordini online – il software era stato impostato inserendo tempi di consegna più brevi. In media ogni autista faceva circa 150 consegna al giorno, quando si dice il servizio più veloce del mondo. Scrive Amazon in una nota: «Rispettiamo tutte le leggi e le normative vigenti in ogni Paese in cui operiamo e richiediamo che le aziende che lavorano con noi facciano lo stesso. Abbiamo un Codice di Condotta che i fornitori devono rispettare. Continueremo a collaborare prontamente con le autorità competenti nel corso dell’indagine».