A passo di carica
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Per abbattere la possibilità di tornare a commettere reati, tutti d’accordo: vanno attivati progetti di recupero
Roma
Una grande alleanza fra istituzioni, Terzo settore, operatori e volontari per restituire le carceri, costantemente sovraffollate, alla loro funzione rieducativa, nel rispetto della Costituzione e dei principi di umanità. Abbattendo così le recidive, a tutto vantaggio anche della sicurezza.
C’è un obiettivo ambizioso nel titolo dell’incontro promosso dal Cnel in collaborazione con il Dap: “Recidiva zero. Studio, formazione e lavoro in carcere”. C’è la «assoluta disponibilità» del governo, assicura il ministro di Giustizia Carlo Nordio a superare una visione che definisce ancora «carcero-centrica », ma per passare dall’utopia alla realtà, Nordio auspica un «ponte» fra parti sociali, istituzioni carcerarie, operatori, imprenditori, sindacati, volontariato e mondo della cooperazione, chiamati tutti a raccolta dal presidente del Cnel Renato Brunetta. Per andare oltre le “buone pratiche” che crescono, ma non bastano ad invertire la rotta, né sul sovraffollamento né sulla recidiva, fenomeni collegati in un circuito perverso da spezzare.
Ad inizio lavori arriva l’incoraggiamento dei massimi vertici istituzionali. Sergio Mattarella richiama la «primaria funzione della formazione e del lavoro» come «concreta occasione per il reinserimento sociale dei detenuti ». Un sì convinto a questo cambio di passo arriva anche da Giorgia Meloni: «Coniugare pienamente la sicurezza in carcere e il trattamento del detenuto » è una «sfida che siamo chiamati ad affrontare» dando piena attuazione, richiama la presidente del Consiglio, al «valore costituzionale della rieducazione, sia attraverso il riconoscimento e il rispetto delle regole sociali, sia attraverso la centralità del lavoro che educa il detenuto alla responsabilità ». Cita anche lei dati che attestano un tasso di recidiva «sensibilmente più alto nelle persone che hanno lasciato il carcere senza aver completato un percorso di recupero. Ogni persona è una storia a sé, che merita percorsi individuali e personalizzati », conclude Meloni, auspicando, come Nordio, un nuovo «approccio di sistema».
Una prospettiva, questa, che piace al cardinale Matteo Zuppi, intervenuto nel pomeriggio, quando i gruppi di lavoro hanno concluso i loro lavori per elaborare delle proposte, nel rispetto del ruolo di elaborazione dal basso affidato al Cnel dalla Costituzione. «Bene questo approccio », esordisce il presidente della Cei. Si riferisce al superamento della centralità del carcere, ma anche al titolo: « Può sembrare un’utopia, la recidiva zero, ma senza coltivare sogni non si cambia la realtà», dice Zuppi, citando il Papa. Ma piace anche una delle proposte del Cnel, che Brunetta aveva definito «rivoluzionaria», e che Zuppi definisce «intelligente», ossia la parificazione del lavoro carcerario a quello all’esterno, nel rispetto dei contratti di lavoro.
Ma soprattutto Zuppi elogia il metodo del dialogo, «la ricerca di soluzioni migliori, evitando le polarizzazioni», valorizzando il Cnel per quello che è, «la casa dei corpi intermedi», la definisce. Si coglie soprattutto, e Zuppi lo apprezza, un linguaggio nuovo della politica, l’uscita da una «rozzezza», che alza dei «muri», e vede le carceri come dei luoghi in cui far «marcire » le persone che hanno sbagliato. Non è giusto, ma il presidente della Cei sottolinea che «non è nemmeno intelligente, perché alzare i muri aumenta, non diminuisce la sicurezza, se è vero che i detenuti non avviati al reinserimento in 6-7 casi su 10 tornano a delinquere e solitamente per reati di solito più gravi». Per Zuppi «questa idea della irrecuperabilità delle persone è corresponsabile», oltre al sovraffollamento, dei casi in crescita di «aggressioni, autolesionismi e suicidi» a cui assistiamo.
Bene quindi la «rivoluzione copernicana », che la politica prospetta e che istituzioni carcerarie operatori, forze economiche e Terzo settore si dicono intenzionate ad attuare. «Fa bene al carcere, ma fa bene anche l mondo intorno al carcere». Si tratta di «dare attuazione alla Costituzione», ma anche di mettere a frutto nuovi strumenti, «come la legge Smuraglia», che finanzia o concede sgravi a chi crea opportunità di lavoro per chi esce dal carcere. Zuppi assicura «la nostra presenza», a partire dal lavoro dei cappellani, «fra gli operatori e i detenuti, per fare delle carceri dei luoghi di speranza – conclude -, per ridare dignità alla persona per ribadire che ogni uomo è nostro fratello».
Una realtà in chiaroscuro quel che la giornata di
lavori del Cnel porta alla luce in una ricerca curata dal Censis e da The european house di Ambrosetti .su dati forniti dal Dap. Uno spicca su tutti. Lo sottolinea Brunetta: « Di un detenuto su due non sappiamo nemmeno il titolo di studio, nel segmento degli stranieri arriviamo a due su tre. Per un terzo della popolazione carceraria non abbiamo la storia professionale personale». Significa che per metà della popolazione carceraria per un percorso rieducativo manca persino la base da cui partire.
I 61mia detenuti attuali denotano un dato di sovraffollamento stabile, pari al 119%, quarti in Europa dopo Francia, Romania e Belgio, messe peggio di noi. « E non dimentichiamo altri 120mila per i quali l’esecuzione della pena avviene fuori dal carcere, che vanno comunque inclusi in un lavoro di reinserimento ». Ma è chiaro che nelle carceri c’è il lavoro più difficile da fare, dal momento che solo il 34% dei detenuti frequenta corsi scolastici e appena il 6% corsi di formazione professionale. Si muovono anche le università, Giorgio Prina, presidente della Conferenza nazionale dei poli universitari penitenziari, ricorda che sono saliti a 44 gli atenei che hanno aperto una sezione per l’istruzione carceraria, ma sono solo 1707 i detenuti iscritti, pari a circa il 3%. Ci sono casi di eccellenza come gli istituti di pena di Opera, Bollate, Rebibbia e Padova, come sottolinea il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, della Lega, con delega su questi temi. Circa 19mila detenuti lavora, ma l’85% lo fa alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, mentre solo l’1% lavora presso privati e il 4 presso cooperative sociali E c’è, anche su questo, una disparità oggettiva delle opportunità fra Nord e Centro-sud, come Zuppi sottolinea.
Brunetta indica fra le principali criticità su cui lavorare il ruolo delle agenzie private e pubbliche di collocamento al lavoro, che potrebbe essere ora aumentato dall’attuazione della legge Smuraglia. In prima linea, invece, il Terzo settore, con 103 progetti a cura di consorzi di cooperative, associazioni di promozione sociale. Impegnate non solo sul fronte del lavoro, come sottolinea Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo Settore, «perché si tratta di farsi carico del vissuto complessivo delle persone», non essendoci in molti casi il supporto di una famiglia o di un contesto sociale favorevole. Non diversamente sostiene il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello: «Non basta a volte un titolo di studio o un lavoro, se vogliamo avere recidiva zero serve un accompagnamento al pieno reinserimento nella società», e soprattutto occorre una «pedagogia dei fatti», una «comunità educante», che si faccia carico soprattutto dei minori, laddove Ostellari confessa di sognare «un mondo senza carceri minorili».
Ma la riflessione del Cnel, frutto di una intesa con il Dap siglata il 13 giugno dello scorso anno, non si chiude con questa pur interessante giornata di studi. I sindacati confederali sottolineano con favore la decisione assunta all’unanimità dall’Assemblea del Cnel nella seduta del 19 marzo scorso, che ha approvato con voto unanime l’istituzione di un “Segretariato permanente” «per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale», per favorire «un sistema di governance istituzionale e la necessaria, costante e reciproca interazione con le forze sociali, economiche e del lavoro».
Nordio concorda: «Per superare una realtà che ha un grande portato di dolore, ma anche dei costi economici enormi» auspica anche lui una «svolta epocale », per «vincere una riluttanza del cittadino, una rimozione» che non fa bene né a chi la attua né a chi la subisce.