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Editoriale
Sacerdoti minacciati dalle mafie
Don Abbondio cedette alla paura.
Per la sua codardia, Renzo e Lucia avrebbero pagato un prezzo altissimo. Rimproverato dal cardinale Borromeo tenta di giustificarsi: « Sotto pena della vita, mi hanno intimato di non fare quel matrimonio». Magistrale e sempre attuale la risposta che Manzoni mette sulle labbra del vescovo: « E quando vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi codesto ministero, v’ha forse essa fatto sicurtà della vita? E non sapete voi che soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non sapete questo che cosa predicate? Qual è la buona nuova che annunciate ai poveri?». Abbiamo già vinto, allora, miei cari fratelli nel sacerdozio minacciati. Anche se non abbiamo né tempo né voglia di festeggiare. La nostra sofferta “vittoria” infatti mette in evidenza la cattiveria e la protervia altrui.
In Calabria alcuni preti sono stati intimiditi. A don Francesco Pontoriero viene recapitata una lettera con minacce di morte e una lama affilata; poi un gatto morto. Povero gattino, anche tu hai dovuto pagare la stolta prepotenza degli esseri umani. Linguaggio arcaico che ci riporta all’età della pietra. Il significato è eloquente: se continui, farai la stessa fine.
A don Felice Palamara, addirittura, arrivano a mettere della candeggina nelle ampolline del vino che egli berrà dopo la consacrazione. Blasfemo. Ma che cosa hanno fatto di male questi due preti? A chi hanno pestato i piedi? Intanto a Francolise, nel Casertano, viene data alle fiamme l’auto di un altro parroco, don Marcos. Mentre a Caivano, sabato scorso, un gruppo di facinorosi si arroga il potere di impedire ai credenti la partecipazione alla santa Messa.
Guai a confondere queste persone prepotenti e incivili con il popolo di onesti che sta soffrendo per il provvedimento della Procura d i lasciare le abitazioni occupate da anni abusivamente. È triste constatare quanti danni abbia fatto l’assenza dello Stato per decenni. Non si lasciano i quartieri periferici e problematici in balia di sé stessi o del più forte che prende il sopravvento. Lo Stato, purtroppo, per troppo tempo è stato alla finestra a guardare queste “zone franche”. I ghetti sono pericolosi. Producono morte.
Ma chi minaccia, in Italia, i preti, oggi? Chi vorrebbe tappare loro la bocca? Il Vangelo viene predicato da duemila anni. Anche don Abbondio, bene o male, recitava il breviario e celebrava la Messa. Non è questo a far paura ai malavitosi. I guai per lui sarebbero iniziati da una eventuale disobbedienza a don Rodrigo. Quell’uomo è potente. Comanda. Ha potere di vita e di morte. Alle sue dipendenze ha dei farabutti pronti a menar le mani. I “ bravi” non sono per niente bravi, al contrario, sono cattivi e stupidi. leri come oggi. Senza scendere nella descrizione dettagliata di che cosa sia la ‘ndrangheta calabrese o la camorra napoletana, ci basta ricordare che sono associazioni di uomini e donne che hanno deciso di vivere succhiando il sangue altrui.
Come don Rodrigo, vogliono essere ricchi, obbediti e venerati. Godono nel constatare il clima di paura e di silenzio che la loro presenza genera nei concittadini.
Purtroppo, ancora oggi, il mondo è pieno di don Abbondio – certo non solo preti – che per quieto vivere preferiscono non adempiere al proprio dovere piuttosto che affrontare a fronte alta i nemici del vivere civile. Qualche anno fa, l’allora procuratore di Napoli, Luigi Riello, nell’aprire l’Anno giudiziario ebbe a pronunciare un discorso di cui gli fui grato. Tra l’altro disse: «Via i don Abbondio dalle chiese… ». Rimasi colpito. Mi fermai, pregai. Poi gli risposi con un editoriale sul giornale che avete tra le mani. Dopo averlo ringraziato per la possibilità di poter farci fare un serio esame di coscienza, aggiunsi: « Accogliamo la provocazione. I don Abbondio sono insopportabili ovunque si trovino. Ma con la stessa parresìa oso suggerie: via i don Abbondio dalla magistratura, dalla politica, dal mondo del giornalismo, degli affari, eccetera»). Per un attimo chiusi gli occhi e provai a sognare un mondo fatto di uomini onesti e coraggiosi. Di tanti fra Cristoforo.
Qual è, dunque, la “buona nuova” da annunciare ai poveri? Ce la facciamo tutti questa domanda, oggi, senza timori e senza ipocrisie. Dobbiamo – costi quel che costi – stare dalla loro parte.
Liberarli dalle grinfie dei mafiosi e dei corrotti. Essere loro voce. Se, per fare questo, veniamo minacciati, vuol dire che siamo sulla buona strada. Che, come Gesù, siamo segno di contraddizione. Chi ha detto che il prete debba essere equidistante, pacioccone, sempre attento a non creare problemi? Il nostro “Capo” non ha mai avuto paura di dire pane al pane e vino al vino. Intreccio di verità e carità. Come Lui, dobbiamo amare tutti, ma proprio perché amiamo anche i malavitosi che ci minacciano ci corre l’obbligo di ricordare loro che sono sulla strada della perdizione. Quando poi la paura rischia di prendere il sopravvento, ci basta richiamare alla memoria le parole del Borromeo: « E quando vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi codesto ministero, v’ha forse essa fatto sicurtà della vita?». No, troppo poco. Sapendo di parlare a degli ingordi, la Chiesa ci promise molto, molto di più: la pace e la gioia quaggiù, e poi la vita eterna.