Ha ragione Vladimiro Zagrebelsky a segnalare l’incapacità italiana di affrontare il tema del fine vita. In una indifferenza quasi generale, infatti, Marco Cappato rende pubbliche la morte di malati gravi che accompagna in Svizzera, sfidando lui stesso la denuncia. Tutto questo mentre in Francia si cerca di discutere seriamente sulla questione in una Convention citoyenne, in corso dal 9 dicembre, che prevede nove incontri di tre giorni con la partecipazione di 173 cittadini scelti per sorteggio. Per sottolineare che è un problema che riguarda tutti, e non solo gli esperti o i politici. Da noi una delle ragioni di questa mancanza di dibattito è, negli ultimi anni, il silenzio dei cattolici sui temi etici. Un silenzio rotto in rare occasioni solo da papa Francesco, sempre circondato da un intangibile alone progressista e del quale vengono dunque dimenticate le affermazioni di tenore ben diverso, proprio sui tanto discussi diritti. Ad esempio in tema di aborto. A proposito del quale il pontefice si è più volte pronunciato con la solita franchezza, ma con altrettanta durezza, ripetendo che abortire è come «affittare un sicario per risolvere un problema».
Questa assenza nell’attuale dibattito delle voci dei cattolici aperti al confronto con i laici è però un fatto grave che impoverisce tutta la cultura e la politica italiana. Esso è la conseguenza della storia degli ultimi decenni, che ha visto l’istituzione ecclesiastica prendere una serie di posizioni rivelatesi sbagliate. La prima si ebbe quando il cardinale Camillo Ruini, avendo giustamente individuato l’importanza delle nuove questioni bioetiche che si stavano ponendo alle società moderne, decise che era opportuno che la cultura cattolica prendesse posizione. Ma quali risposte dare alle nuove domande veniva dettato ai cattolici dall’alto, cioè da una gerarchia orientata in senso dogmatico. È accaduto così che le questioni bioetiche, invece di diventare terreno di discussione e confronto con i laici, e soprattutto con chi opera nella sanità, hanno finito per essere trattate sul piano teologico. Infatti, anche se Pio XII si domandava, ancora nel 1957, se una persona che riprendeva a respirare grazie a un macchinario fosse realmente rianimata, arrivando perfino a supporre che forse l’anima avesse già lasciato il corpo, in seguito hanno prevalso risposte improntate a una assoluta nettezza. Risposte formulate sulla base del concetto astratto di “bene maggiore” – ovviamente sempre la vita – perdendo l’effettiva concretezza dei problemi medici. Ai cattolici che partecipavano al dibattito e non appartenevano al clero veniva dunque chiesto in pratica di essere semplici portavoce obbedienti a quanto stabilito dai teologi, quasi sempre ecclesiastici.
Soffocare questo dibattito – che all’inizio era nato dall’interesse generale e dalla necessità di prendere decisioni ponderate, e che tra i cattolici si era rivelato interessante e vivace – ha significato impoverire tutta la cultura italiana, dove di conseguenza si sono contrapposti, a lungo, quasi solo radicali aggressivi e vescovi obbedienti. Situazione che perdura in questi ultimi anni, quando papa Francesco, ben consapevole dello scarso consenso che questo modo di condurre le cose aveva portato alla chiesa, ha invitato intellettuali e politici cattolici a lasciar cadere la discussione bioetica, per dedicarsi a temi più facilmente condivisibili, come i poveri e i migranti. Come ha fatto la Comunità di Sant’Egidio, unica organizzazione cattolica ormai presente e attiva nella politica italiana.
Così oggi, nel panorama politico, di fronte alle questioni dell’aborto, dell’eutanasia, delle famiglie gay e dell’utero in affitto sono rimasti sulla scena solo i gruppi cattolici più conservatori, che non hanno obbedito al papa e hanno continuato a parlare, cioè a presentare proposte molto rigide, non essendo interessati ad aprire un dialogo. La politica ha dunque cessato da tempo di essere quello che deve essere, cioè luogo di discussione e di mediazione, per diventare solo occasione di scontri frontali e di reciproche demonizzazioni. Diversamente da quello che accade in altri paesi europei, dove sui temi così sensibili dei diritti sono stati aperti dibattiti fruttuosi e dove tutte le posizioni hanno diritto di essere ascoltate.