Italia viva rompe con Azione. Già sabato lascia il gruppo al senato
4 Agosto 2023Tozzi: “Quelli che continuano a confondere il maltempo con la Terra che muore”
4 Agosto 2023Chi c’è dietro ai dossier: centinaia di ricerche senza mai fare rapporto. E ora è caccia ai mandanti
di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci
Funzionava così: il finanziere in servizio all’“Ufficio Sos” (Segnalazioni di operazioni finanziarie sospette) della Direzione nazionale antimafia a un certo punto decideva di approfondire la posizione di un personaggio X per verificare eventuali transazioni anomale sui suoi conti correnti; lo poteva fare senza un’indicazione a monte del magistrato responsabile dell’ufficio (fino all’anno scorso Antonio Laudati) e senza alcun obbligo di rendicontare a valle, per iscritto, ciò che aveva fatto. Il finanziere si arrogava il diritto di interrogare le banche dati della Dna e quelle collegate dell’Agenzia delle entrate: sono una miniera di dati sensibili che include anche la dichiarazione dei redditi. Le Sos sono tante, tantissime: in un anno all’Antimafia ne arrivano dalla Banca d’Italia circa 15 mila, il 10 per cento di quelle che l’Unità di informazione finanziaria di Palazzo Koch elabora. Per questo motivo, il finanziere spesso effettuava le sue ricerche non dal computer della Dna ma da un terminale della Finanza, dove sono accessibili tutte le 135mila Sos e non solo quelle di potenziale interesse per i magistrati antimafia: era il suo modo per avere maggiore possibilità di rendere la pesca “fortunata”.
E qui si arriva al punto, su cui verte l’inchiesta della procura di Perugia: perché il finanziere faceva ricerche proprio sul personaggio X e non su Y? Con quali criteri erano scelte le persone su cui effettuare gli approfondimenti che poi venivano trasmessi alle procure distrettuali perché aprissero indagini? Chi li suggeriva? Su quali basi? Sono le domande a cui sta cercando di trovare risposta il procuratore capo Raffaele Cantone che indaga sulla presunta attività di dossieraggio condotta dal 2019 da Pasquale Striano, luogotenente della Guardia di Finanza in forza al nucleo di Polizia valutaria di Roma, ma distaccato alla Dna. E, dopo aver ricevuto un avviso di garanzia, di recente trasferito all’Aquila.
Striano è indagato per accesso abusivo al sistema informatico: secondo l’accusa avrebbe effettuato centinaia di consultazioni delle banche dati senza giustificazione. Il militare, interrogato, ha spiegato invece di averle fatte legittimamente: quelle ricerche, ha detto, facevano parte degli «atti di impulso» del suo gruppo di lavoro, erano cioè iniziative mirate a trovare elementi utili per gli investigatori. Ha anche specificato che tale sistema costituiva la prassi dell’“Ufficio Sos” dell’Antimafia ed era pienamente autorizzato da Laudati (non indagato e ascoltato come testimone nei giorni scorsi a Perugia), con un protocollo che ammetteva la possibilità di non rendicontare per iscritto le ricerche che non avessero dato gli esiti sperati.
Molti nomi illustri nelle ricerche
La sua versione, però, non convince gli inquirenti. Anche perché Striano non frugava soltanto tra le Sos. Si prenda il caso del ministro Guido Crosetto, che ha presentato una denuncia alla procura di Roma nell’ottobre scorso dopo la pubblicazione sui giornali della sua dichiarazione dei redditi: su di lui il finanziere indagato ha cercato e scaricato i documenti fiscali, senza alcuna esplicita ragione di investigazione né una Sos di riferimento che lasciasse pensare a transazioni bancarie anomale a carico di Crosetto. La Procura di Perugia, che in queste settimane «ha sentito persone ed esaminato una rilevante quantità di documenti», ha spiegato il procuratore Cantone, ha trovato situazioni analoghe: ricerche nelle banche dati effettuate inserendo nominativi di personaggi noti, per lo più politicamente esposti, senza un motivo valido o con un motivo diverso da quello poi dichiarato. È un fatto che il contenuto di alcune Sos sia finito sulla stampa. Il Nucleo di polizia valutaria, delegato all’indagine da Cantone, sta tentando di ricostruire il percorso seguito dalle Sos pubblicate (riguardavano, tra gli altri, Matteo Renzi, Francesco Totti, Rocco Casalino e Antonio Capuano, il facilitatore di Matteo Salvini che intratteneva rapporti con l’ambasciata russa), ma il punto cruciale dell’inchiesta perugina non è la fuga di notizie, bensì, come detto, i criteri per cui l’“Ufficio Sos” dell’Antimafia decideva di approfondire una posizione piuttosto che un’altra, dando in alcuni casi impulso a indagini dei pm. In altri casi, chissà a cosa.
È da capire, infatti, dove finissero gli esiti di tutte le interrogazioni ritenute abusive: restavano nei cassetti? Oppure venivano consegnate a qualcuno? Avevano dei committenti? Il «mercato delle informazioni finanziarie», per usare la definizione dei pm, era da tempo nel mirino dei più importanti magistrati italiani: proprio l’attuale capo della Dna, Giovanni Melillo, all’epoca procuratore a Napoli, sollevò il problema e chiese di fare accertamenti insieme con i colleghi di Roma, Giuseppe Pignatone, e di Milano, Francesco Greco. L’ex comandante della Finanza, Giuseppe Zafarana, aveva a tale scopo creato un tavolo permanente con Agenzia delle entrate e Banca d’Italia per regolamentare il sistema.
Ed è stato proprio il procuratore Melillo a dare la spinta decisiva all’inchiesta, consegnando i log dei presunti accessi illegali dell’“Ufficio Sos” alla procura di Roma, prima del trasferimento del fascicolo per competenza a Perugia per il possibile coinvolgimento di magistrati, come protagonisti o come parte lesa. Melillo, appena entrato in carica all’Antimafia e prima ancora della denuncia del ministro Crosetto, ha cambiato l’organizzazione di quell’ufficio, assumendone la responsabilità diretta e indicando tre sostituti procuratori per la gestione. La nuova ratio è che niente sia lasciato al libero arbitrio del singolo e che tutto si muova su criteri tracciati e di trasparenza: tutte le interrogazioni delle banche dati devono essere tracciate e precedute da una richiesta scritta e motivata. Se per ragioni di velocità la richiesta è fatta a voce, gli agenti di polizia giudiziaria devono rispondere per iscritto spiegando che fanno riferimento a un’indicazione ricevuta oralmente.