Il documentario di Irene Carmina
Quando venne arrestato l’11 aprile del 2006, Bernardo Provenzano aprì bocca solo per chiedere la sua Bibbia. Edizioni Paoline, anno di stampa 1968, 1.425 pagine, introduzione inclusa. Su quei fogli ingialliti, il capomafia pluriergastolano, con ortografia traballante e grafia infantile, aveva preso appunti, copiato interi brani, incollato post- it a zig- zag. Un codice segreto nella Bibbia dei pizzini. Vent’anni prima, un altro boss di Cosa nostra, Michele Greco, detto “ il Papa”, nel suo memoriale paragonava la sua famiglia a quella di Nazareth, le sue sofferenze a quelle di Abramo, Giacobbe e Mosè e scriveva: «Mi sposai nel 1949 e da allora ho un solo ideale: Dio e la famiglia».
La mafia si scherma dietro ai crocifissi e cerca la benedizione della Chiesa. E come la Chiesa ha rituali precisi. Totò Riina, durante la cerimonia di affiliazione a Cosa nostra di Giovanni Brusca, gli punse il dito con un ago e macchiò un santino col suo sangue. Poi diede fuoco all’immagine sacra, gliela mise in mano e disse: « Se tradisci Cosa Nostra, le tue carni bruceranno come brucia questa santina».
Pietro Aglieri, capomandamento di Santa Maria di Gesù, nel suo covo alle porte di Bagheria aveva allestito una cappella con tanto di crocifisso ligneo, altarino, sei panche e due statue in gesso di Cristo e della Madonna. La messa veniva celebrata da padre Mario Frittitta, parroco della Kalsa, poi arrestato e assolto in appello.
La storia è piena di mafiosi che si professano credenti, distorcendo i valori cristiani a proprio uso e consumo. Ma qual è stato, dal dopoguerra a oggi, il ruolo della Chiesa rispetto al fenomeno mafioso? Ambiguo, a volte. Fatto di silenzi, di sovrapposizioni, ma anche di contrasti e di ferme condanne. Luci e ombre che si rincorrono lungo la linea del tempo che un documentario di Antonio Bellia scritto insieme a Francesco La Licata, “ Chiesa nostra”, che si presenta in anteprima nazionaleoggi alle 20,30 al Rougeet Noir, prova a riallacciare.
Lo fa unendo alle immagini di archivio la testimonianza di esperti, rappresentanti delle istituzionie uomini di Chiesa: dadon Luigi Ciotti all’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, dall’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato al giudice a latere del maxiprocesso Pietro Grasso, dall’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando alla sociologa della devianza Alessandra Dino. La ricostruzione storica si intreccia alla rappresentazione filmica, animata dalle illustrazioni di Nico Bonomolo e dalle incursioni attoriali di Pippo Delbono.
« Non capivo perché la Chiesa di fronte a fatti cruenti non prendesse una posizione di ferma condanna – racconta il regista, vincitore del Nastro d’argento con il doc su “ L’Ora” – . Ho visto cambiare in pochi anni, grazie al lavoro di tanti preti di frontiera, l’istituzione più conservatrice che ci sia. Ho apprezzato le dureparole di papa Francesco ai mafiosi. E oggi ho voluto raccontare tutto questo».
Giugno 1963, a Ciaculli una Giulietta imbottita di tritolo uccide quattro carabinieri, due soldati e un poliziotto. La Chiesa, però, nega l’esistenza della mafia: « È un’invenzione comunista » scrive il cardinale Ernesto Ruffini in una lettera pastorale, mentre la Dc avanza alle urne e nei posti di potere. Il primo cortocircuito con Cosa nostra si innesca quasi vent’anni dopo quando il cardinale Salvatore Pappalardo, dal pulpito della basilica di San Domenico, per i funerali del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso dalla mafia, pronuncia un’omelia storica: « Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo! » . È la prima volta che si sentono parole così in una chiesa. Forti, d’impeto.
« Fu un momento importantissimo: nasceva la società civile antimafiosa» osserva Francesco Michele Stabile, storico della Chiesa. Due anni dopo, i detenuti dell’Ucciardone disertano la messa pasquale di Pappalardo, mentre per strada sfilano i fedeli in processione e levare si inchinano davanti ai balconi dei boss. Il cortile del carcere è vuoto: ora è la mafia che “scomunica” il cardinale.
«La mafia non vuole perdere la benedizione o quanto meno l’indifferenza, se non il silenzio, della Chiesa: questo è il significato dell’ammutinamento » , spiega Lorefice. Pappalardo è solo. «Noi preti che ci schieravamo contro la mafia non eravamo ben accetti dal mondo del clero » , ammette il teologo Giacomo Ribaudo.
La breccia, però, è aperta e l’anatema di papa Wojtyla del 9 maggio del 1993 alla Valle dei templi di Agrigento, quasi un anno dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, arriva come il suggello alla svolta. « Lo dico ai responsabili, convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio».
Un attacco frontale a Cosa nostra. « Si rompe un equilibrio fatto di complicità tacita tra la Chiesa e la mafia», osserva la sociologa Dino.
La mafia risponde attaccando a sua volta. Il bersaglio è un prete di frontiera: don Pino Puglisi, ucciso con un colpo di pistola alla nuca davanti casa sua, a Brancaccio. I mandanti dell’omicidio sono i fratelli Graviano, pupilli di Totò Riina, il capo dei capi il cui matrimonio con Ninetta Bagarella in piena latitanza era stato celebrato da un parroco di Carini affiliato a Cosa nostra, don Agostino Coppola.
Bisogna aspettare papa Francesco per vedere il vero cambiamento. «Gli chiesi: “Te la senti di incontrare migliaia di familiari delle vittime di mafia?” – racconta don Ciotti – Mi rispose subito di sì » . All’incontro organizzato dal fondatore di “ Libera” nella chiesa di San Gregorio VII a Roma, papa Francesco si rivolge direttamente ai mafiosi: «Convertitevi. Ve lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene».
Il Papa non si ferma qui, vuole creare un gruppo di lavoro “sulla scomunica alle mafie”. Ma è tutto fermo. La spiegazione la dà Scarpinato: « Papa Francesco ha moltissimi nemici all’interno della Chiesa».